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Articolo
06 ottobre 2010 - Prima - Italia - Il Giornale |
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Dietro le nozze forzate c'è il business dei ricongiungimenti |
Nosheen, la ragazza pachistana, in coma dopo le sprangate del fratello, non voleva sposarsi con un cugino in Pakistan. Il matrimonio forzato era stato imposto dal padre, che ha ucciso a colpi di mattone la madre della giovane di 20 anni schierata a fianco della figlia. Se Nosheen avesse chinato la testa il marito, scelto nella cerchia familiare, avrebbe ottenuto il via libera per emigrare legalmente in Italia. La piaga dei matrimoni combinati nasconde anche questo. E altro: tranelli per rimandare nella patria d’origine le adolescenti dove le nozze sono già pronte a loro insaputa; e il business della dote con spose che vengono quantificate in oro o migliaia di euro. Non capita solo nelle comunità musulmane come quelle pachistana, marocchina o egiziana, ma pure per gli indiani e i rom, che sono un mondo a parte. «Il matrimonio combinato può essere uno strumento per aggirare i limiti posti dalle quoteed entrare in Italia grazie al ricongiungimento familiare» spiega Mara Tognetti, sociologa dell’Università Bicocca di Milano, che sta dando alle stampe una ricerca sulle adolescenti della migrazione. In pratica si organizza un matrimonio per procura fra un uomo nel paese d’origine che vuole venire in Italia e una ragazza immigrata che vive da noi, o viceversa. Oppure si fa tutto in famiglia come nel caso del padre assassino di Novi, in provincia di Modena. Una volta convolato a nozze, il consorte che sta in patria può chiedere il ricongiungimento familiare e il permesso di soggiorno. Non solo:è capitato che dall’Italia si prende moglie anche per telefono. Lo ha fatto un pachistano con l’anima gemella rimasta in patria dall’altra parte della cornetta. L’ambasciata italiana a Islamabad aveva osato rifiutare il ricongiungimento familiare, ma secondo una giudice di Milano l’unione era valida. «Quando il matrimonio è combinato solitamente si include nel patto la separazione - rivela la professoressa Tognetti- . In alcuni casi, però, si tratta di unioni in cui la differenza di età fra la ragazza, molto giovane, è alta rispetto al marito ben più anziano.E non c’è alcuna separazione. Pure l’imam di Bologna ha denunciato questo fenomeno ». Sempre nella zona di Modena la Gazzetta locale ha intervistato ieri una marocchina, che si è rifiutata di sposare un cugino di quarant’anni più vecchio. L’obiettivo era farlo venire in Italia. E col Pakistan l’andazzo dei matrimoni combinati oppure obbligati va per la maggiore, grazie a una comunità di 55.371 persone. Un altro aspetto inquietante è la «sparizione» delle ragazzine islamiche nell’età della pubertà registrato a Bergamo, Brescia, Milano, ma pure in Veneto ed Emilia-Romagna. «Dagli operatori sociali sul territorio e in particolare dagli insegnanti osserva Tognetti- abbiamo ricevuto segnalazioni che dai 12 anni in su le bambine vengono rimandate al paese di origine per sposarsi o per crescere secondo determinate regole». Il timore è la «contaminazione» con gli stili di vita e i valori occidentali. «Esistono anche casi di rimpatri con il tranello, o comunque forzati. Una volta arrivate a destinazione le adolescenti si trovano di fronte al matrimonio già pronto», denuncia la sociologa. Le scuse per far cadere in trappola le promesse spose sono la malattia dell’anziana nonna oppure una vacanza. Lo scorso anno una studentessa pachistana e una egiziana, bravissime a scuola, non sono tornate sui banchi del liceo. Erano partite per un viaggio estivo nei paesi d’origine, dove hanno trovato tutto organizzato per le nozze. Negli Stati Uniti ci sono stati genitori che hanno costretto le figlie a tornare in Pakistan per sposarsi con la pistola alla schiena. «Mio padre me l’ha detto chiaro: se scappi ti ammazzo racconta Sarah una giovane pachistana scampata all’ingrato destino - . Avevo solo 15 anni e voleva farmi sposare un uomo in Pakistan». Tante ragazze come lei che vivevano in grandi città come New York o nella moderna Inghilterra sono state picchiate, drogate e portate a forza nella patria d’origine per sposarsi. Lo scorso sono state 300 le richieste all’ambasciata inglese di rimpatrio dal Pakistan per le spose obbligate con passaporto britannico. Ora però molte ragazze musulmane che si sono ambientate nel nostro paese cominciano a ribellarsi. «Prima devo lavorare, ma di sicuro sposerò un pachistano e lo porterò in Italia. Però lo sceglierò io»,dice un’immigrata di 16 anni intervistata per la ricerca dell’Università Bicocca. Un’altra ragazzina pachistana ha accettato di maritarsi con un connazionale, che però sta in Inghilterra e non nella patria d’origine. Un ragazzo moderno e «poi tutti e due verremo a vivere in Italia», spiega la giovane. Il matrimonio combinato o forzato è spesso un affare gestito dalle donne della famiglia. Oltre alle tradizioni e al Corano, le madri delle spose imposte stanno molto attente alla dote. Si stabilisce prima e si quantifica spesso con regali in oro. Discorso diverso per la comunità rom, dove la mercificazione delle spose bambine è la norma. Lo scorso anno un gruppo di bulgari è finito in manette perché portava in Italia ragazze minorenni per venderle ai clan nomadi. Non solo come spose, ma anche come ladre abili nei borseggi e nei furti nelle case. I «mediatori»acquistavano le minori dalle famiglie di origine per circa 1.000 euro e la promessa di un matrimonio obbligato. E poi rivendute ai loro sposi dei clan nomadi per un cifra dieci volte superiore. www.faustobiloslavo.eu |
[continua] |
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26 settembre 2012 | Uno Mattina | reportage
I lati oscuri (e assurdi) delle adozioni
Con mia moglie, prima di affrontare l’odissea dell’adozione, ci chiedevamo come mai gran parte delle coppie che sentono questa spinta d’amore andavano a cercare bambini all’estero e non in Italia. Dopo quattro anni di esperienza sulla nostra pelle siamo arrivati ad una prima, parziale e triste risposta. La burocratica e farraginosa gestione delle adozioni nazionali, grazie a leggi e cavilli da azzeccagarbugli, non aiutano le coppie che vogliono accogliere un bimbo abbandonato in casa propria, ma le ostacolano.
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12 maggio 2020 | Tg5 | reportage
L'infermiera sopravvissuta al virus
L’infermiera ha contratto il virus da un paziente anziano nell’ospedale Maggiore di Trieste
A casa non riusciva più a respirare ed è stata trasportata d’urgenza in ospedale
Il figlio, soldato della Nato, era rimasto bloccato sul fronte baltico dall’emergenza virus con l’appartamento pieno di medicine l’incubo del contagio non l’abbandonerà mai
Due mesi dopo il contagio Svetlana è negativa al virus ma ancora debole e chiusa in casa
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29 dicembre 2010 | | reportage
Gli occhi della guerra a Trieste
Dopo aver portato la mostra su 25 anni di reportage di guerra in tutta Italia, finalmente il 29 dicembre è stata inaugurata a Trieste, presso la sala espositiva della Parrocchia di Santa Maria Maggiore, via del Collegio 6. Gli occhi della guerra sono dedicati ad Almerigo Grilz e a tutti i giornalisti caduti sul fronte dell'informazione. La mostra rimarrà aperta al pubblico dal 10 al 20 gennaio. L'evento è stato organizzato dal Circolo universitario Hobbit con la sponsorizzazione della Regione.
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24 maggio 2010 | Radio Padania Libera | intervento |
Italia
Proselitismo islamico dietro le sbarre
“Penso che sia giusto se alcuni musulmani combattono la guerra santa contro gli americani in paesi che non sono la loro terra”. Dopo un lungo girarci attorno Kamel Adid sorprende un po’ tutti, quando sputa il rospo. La domanda riguardava i mujaheddin, i musulmani pronti a morire per Allah, contro l’invasore infedele. Tre soldati della guerra santa, arrivati un paio di mesi fa da Guantanamo, sono rinchiusi poco più in là, nel reparto di massima sicurezza del carcere di Opera, alle porte di Milano.
Adid è un giovane marocchino di 31 anni con barbetta islamica d’ordinanza e tunica color noce. Nel carcere modello di Opera fa l’imam dei 44 musulmani detenuti, che frequentano una grande sala adibita a moschea. Un predicatore fai da te, che di solito parla un linguaggio moderato e ti guarda con occhioni apparentemente timidi.
Deve scontare ancora due mesi di pena per un reato legato alla droga e da pochi giorni è stato trasferito in un altro istituto. “Quelli che si fanno saltare in aria subiscono il lavaggio del cervello – si affretta a spiegare l’autonominato imam – Noi abbiamo riscoperto la fede in carcere. Pregare ci da conforto, ci aiuta ad avere speranza”.
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25 maggio 2010 | Spazio Radio - Radio 1 | intervento |
Italia
L'Islam nelle carceri italiane
In Italia su oltre 23mila detenuti stranieri, 9840 risultano musulmani, secondo i dati ufficiali. Almeno seimila, però, non si sono dichiarati. Il rapporto di 364 pagine, “La radicalizzazione jihadista nelle istituzioni penitenziarie europee”, realizzato dall’esperto di Islam nella carceri, Sergio Bianchi, ne indica 13mila.
In Italia ci sono circa 80 islamici dietro le sbarre per reati connessi al terrorismo. Dal 2009 li hanno concentrati in quattro istituti di pena: ad Asti, Macomer, Benevento e Rossano. Nel carcere di Opera, invece, sono arrivati Adel Ben Mabrouk, Nasri Riadh e Moez Abdel Qader Fezzani, ex prigionieri di Guantanamo. Chi li controlla ogni giorno racconta che parlano in italiano. La guerra santa in Afghanistan l’hanno abbracciata dopo aver vissuto come extracomunicatori nel nostro paese. Non si possono incontrare fra loro e vivono in celle singole. Pregano regolarmente con molta devozione e hanno mantenuto i barboni islamici.
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