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08 settembre 2011 - Esteri - Libia - Il Giornale
La tripla vita della spia che ingannò il rais
Mestre «Non avrei mai immagi­nato di diventare uno 007 dei ribel­li a Tripoli, ma dovevo farlo per il futuro della Libia» spiega Rida Mu­stafa Eljasi. L'ultima volta ci erava­mo salutati all'hotel Rixos, nella capitale libica, dove venivano in­gabbiati i giornalisti che riusciva­no ad ottenere un visto dal regime di Gheddafi.
Classe 1973, Rida era ufficial­mente un interprete arruolato dal governo per accompagnare gli in­viati italiani. In realtà i simpatiz­zanti dei ribelli nelle forze di sicu­rezza libiche gli fornivano infor­mazioni sui bersagli che la Nato avrebbe dovuto colpire. E Rida uti­lizzava il Rixos, unico punto di ac­cesso internet di Tripoli, per pas­sarle ai contatti della rivolta in Tu­nisia,
che poi le giravano agli occi­dentali. In pratica faceva la spia, anche se per caso. La sua storia, che sembra uscita da un roman­zo, la racconta a Il Giornale in un bar di Mestre. Da queste parti ha una fidanzata, che è venuto a tro­vare.
«Il 15 febbraio accompagnavo un gruppo di turisti italiani giunti a Bengasi. Le manifestazioni paci­fiche erano già iniziate. Ad Al Bai­da ho visto la gente scendere in piazza e cadere sotto i colpi degli sgherri di Gheddafi. Dovevo fare qualcosa per il mio Paese» raccon­ta Rida, nato a Suk al Juma, un quartiere della capitale roccafor­te dei rivoltosi. L'opportunità per
diventare una quinta colonna gli viene offerta su un piatto d'argen­to dal regime. «Un mio conoscen­te ne­i servizi segreti mi contattò di­cendomi che il governo aveva bi­s­ogno di interpreti fidati per i gior­nalisti stranieri », ricorda. Rida ca­pisce al volo che è un'occasione d'oro. Il 2 marzo si presenta da Moussa Ibrahim, il portavoce del regime ancora oggi alla macchia, con la raccomandazione dei servi­zi. Inizia a lavorare con i giornali­sti del TG1 e del Corriere . Oltre a lui ci sono altre ex guide turistiche come Bashir e Ahmed, che ci aiuta­no a non credere alla propagan­da. Rida fornisce un video esclusi­vo dei bombardamenti di Bab al Aziziya, mandato in onda su Me­diaset, e altro materiale compro­mettente. Però nessuno sa, nep­pure i suoi amici interpreti, che fa parte di una cellula ribelle di cin­que persone, come altre della ca­pitale.
«Avevo degli amici nell'esercito e nei servizi segreti, che non sop­portavano più il regime e comin­ciarono a passarmi indicazioni sui bersagli da colpire - rivela il ri­belle - . Le informazioni riguarda­vano i luoghi dove venivano na­scosti gli arsenali.
Oppure gli edifi­ci, spesso anonimi, utilizzati co­me centri di comando e controllo.
Così ho cominciato a fare la spia», racconta Rida.
Lo 007 degli insorti scarica foto e immagini satellitari via Google da allegare alle informazioni. All' inizio cripta i file e li manda con un indirizzo anonimo di posta elet­t­ronica ai contatti della rivolta nel­le montagne a
sud ovest di Tripoli e in Tunisia.
«Dopo un po' hanno piazzato delle apparecchiature per inter­cettare quello che i giornalisti spe­divano via internet» sostiene Ri­da. Non solo: i servizi libici sono convinti che due o tre giornalisti americani siano spie e ogni tanto ne sbattono fuori qualcuno. «Per evitare intercettazioni usavo Skype con il mio telefonino con­nettendomi alla rete senza fili del Rixos. E continuavo a spedire in­formazioni per la Nato» racconta Rida. «Mettevamo nel conto di ve­nir catturati e uccisi - spiega il ri­belle - . Non avevo paura di mori­re, ma temevo la tortura o quello che avrebbero potuto fare ai miei familiari».
Rida fornisce informazioni su una decina di bersagli nella capita­le: «Un centro di comando e con­trollo segnalato in un palazzo, in via Repubblica, è stato bombarda­to tre volte dalla Nato ». Al Rixos co­minciano ad insospettirsi per un filmato sui crimini del regime pro­curato da Rida e mandato in onda in Italia. Per fortuna nell'hotel al­cuni dipendenti sono dalla parte dei ribelli. «Il 20 luglio ho manda­to in Tunisia dall'albergo le ultime informazioni su dei missili nasco­sti a Bab al Aziziya (l'ex residenza di Gheddafi,
nda ) » ricorda Rida. Tre giorni dopo Ashraf Ghabag, che lavora al Rixos, gli salva la vita. «Mi ha informato di un rapporto della sicurezza, stampato in alber­go, che sosteneva di aver scoperto alcune spie e citava fra i sospetti il mio nome - rivela il ribelle - . Ave­vo sei ore al massimo prima che ar­rivasse alla centrale e comincias­sero a darmi la caccia».
Grazie a Jamal Tamzzini, capo cellula degli insorti a Tripoli, lo 007 per caso viene affidato a un ta­xista sicuro, che fa uscire i ricerca­ti dal Paese. «La strada costiera era piena di posti di blocco. Ad ogni stop non mi restava che pre­gare- ricorda Rida - . Il taxista ave­va i contatti giusti con le guardie di frontiera, che mi hanno fatto pas­sare in Tunisia sano e salvo».
Poi è tornato sulle montagne ri­belli di Nafusa, dove è scattata l'avanzata sulla capitale, per por­tare aiuti umanitari e militari. Nei giorni della caduta di Tripoli è par­tito per l'Italia. «Ho rischiato la vi­ta per far diventare la Libia un Pae­se normale. Per questo spero che gli estremisti islamici non prenda­no il potere» sostiene Rida. In Li­bia è convinto che «finirà tutto quando Gheddafi verrà individua­to, catturato o ucciso».

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