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Articolo
23 settembre 2011 - Cronache - Italia - Il Giornale |
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Che ci fanno 135 bimbi tra tanti teppisti? |
Salviamo gli italiani in «ostaggio » a Lampedusa, ma pure i bambini arrivati dal mare. Non solo per umana bontà, ma perché dobbiamo farlo per legge. I minori non si possono rimandare in Tunisia, come gli adulti. Nell’esplosiva situazione dell’isola, in prima linea di fronte allo sbarco dei clandestini, quello dei più indifesi è un dramma nel dramma. Fino a ieri i minori ospitati nelle strutture di Lampedusa erano 144 e ben 135 sono soli, non accompagnati. Una decina, sbarcati il 16 settembre, si trovavano addirittura nel centro di accoglienza di Imbriacola, che è stato dato alle fiamme. «Solo due giorni prima c’erano anche delle famiglie con bambini piccoli da 0 a 6 anni. Siamo riusciti a farle trasferire in tempo, perché la tensione era palpabile» spiega Raffaela Milano, responsabile per i programmi Italia- Europa di Save the Children. I minori accompagnati seguono la sorte delle famiglie, ma quelli che arrivano da soli, ed al momento a Lampedusa sono il 90%, tutti tunisini, non possono venir espulsi secondo le disposizioni internazionali e la legge italiana. A., un orfano adolescente giunto sull’isola il 27 agosto racconta: «Ho fatto il viaggio da Bourguiba a Tunisi in bus e poi mi sono imbarcato da Sfax. È durato 16 ore, ci siamo persi e ho avuto molto paura. Quando sono arrivato a Lampedusa ho ringraziato Allah. Al Centro Imbriacola sono rimasto 6 giorni, poi mi hanno trasferito alla base Loran dove vivevamo quasi in cento. C’erano problemi, discussioni, litigi e qualcuno tra noi ti rubava le scarpe». Le storie più drammatiche di Save the Children, come racconta la responsabile dell’Organizzazione non governativa, sono quelle «delle giovanissime africane giunte dalla Libia con un bimbo in grembo. Abbiamo capito che non era figlio dell’amore,ma di violenza sessuale ». Dall’inizio della crisi nel nord Africa sono sbarcati a Lampedusa e altri due isolotti 2.700 minori. Solo 160 erano accompagnati. Qualcuno è arrivato due volte, come N., un tunisino di 16 anni. «Non è la prima volta che sbarco a Lampedusa - racconta il ragazzino - All’inizio sono stato trasferito a Taranto con gli adulti e mi hanno fatto la radiografia al polso, perché non credevano che fossi minorenne. Poi sono stato mandato in una comunità per minorenni a Bolzano dove stavo bene e ho potuto studiare l’italiano ». In giugno la madre muore ed N. torna in Tunisia imbarcandosi «clandestinamente» a Genova. A casa sua rimane per il lutto ed il mese di digiuno del Ramadan. Alla fine decide «di imbarcarsi di nuovo da solo per venire in Italia» raggiungendo Lampedusa il 10 settembre. Altri adolescenti come S. raccontano di un viaggio drammatico via mare: «È durato 17 ore ed eravamo talmente numerosi, circa un centinaio, che non mi potevo muovere. La barca ha cominciato a far acqua. Ho visto la morte in faccia. Sono stato proprio sollevato quando la Guardia della finanza è venuta a soccorrerci. Ora sono qui a Lampedusa, ma spero di essere trasferito velocemente perché voglio continuare gli studi». Sull’isola la maggior parte dei minori ha 16 o 17 anni, ma ci sono anche ragazzini di 13 e 14 non accompagnati, oltre che i bimbi piccoli assieme ai genitori. Dopo i gravi incidenti di mercoledì tutti i minori dovrebbero essere in fase di trasferimento verso un centinaio di centri di accoglienza sul territorio nazionale. Da Lampedusa ne sono già arrivati 2.700, ma la percentuale di fuga è del 35%. «Si tratta di minori spesso vulnerabili che devono magari dei soldi a dei passeur e possono diventare vittime di circuiti di lavoro nero o della prostituzione minorile, soprattutto per le ragazze- spiega Raffaela Milano- Anche per questo bisogna accoglierli, tutelarli e puntare all’integrazione ». www.faustobiloslavo.eu |
[continua] |
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14 marzo 2015 | Tgr Friuli-Venezia Giulia | reportage
Buongiorno regione
THE WAR AS I SAW IT - L'evento organizzato dal Club Atlantico giovanile del Friuli-Venezia Giulia e da Sconfinare si svolgerà nell’arco dell’intera giornata del 10 marzo 2015 e si articolerà in due fasi distinte: MATTINA (3 ore circa) ore 9.30 Conferenza sul tema del giornalismo di guerra Il panel affronterà il tema del giornalismo di guerra, raccontato e analizzato da chi l’ha vissuto in prima persona. Per questo motivo sono stati invitati come relatori professionisti del settore con ampia esperienza in conflitti e situazioni di crisi, come Gianandrea Gaiani (Direttore responsabile di Analisi Difesa, collaboratore di diverse testate nazionali), Fausto Biloslavo (inviato per Il Giornale in numerosi conflitti, in particolare in Medio Oriente), Elisabetta Burba (firma di Panorama), Gabriella Simoni (inviata Mediaset in numerosi teatri di conflitto, specialmente in Medio Oriente), Giampaolo Cadalanu (giornalista affermato, si occupa di politica estera per La Repubblica). Le relazioni saranno moderate dal professor Georg Meyr, coordinatore del corso di laurea in Scienze Internazionali e Diplomatiche dell’Università di Trieste. POMERIGGIO (3 ore circa) ore 14.30 Due workshop sul tema del giornalismo di guerra: 1. “Il reporter sul campo vs l’analista da casa: strumenti utili e accorgimenti pratici” - G. Gaiani, G. Cadalanu, E. Burba, F. Biloslavo 2. “Il freelance, l'inviato e l'addetto stampa in aree di crisi: tre figure a confronto” G. Simoni, G. Cuscunà, cap. B. Liotti
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29 dicembre 2010 | | reportage
Gli occhi della guerra a Trieste
Dopo aver portato la mostra su 25 anni di reportage di guerra in tutta Italia, finalmente il 29 dicembre è stata inaugurata a Trieste, presso la sala espositiva della Parrocchia di Santa Maria Maggiore, via del Collegio 6. Gli occhi della guerra sono dedicati ad Almerigo Grilz e a tutti i giornalisti caduti sul fronte dell'informazione. La mostra rimarrà aperta al pubblico dal 10 al 20 gennaio. L'evento è stato organizzato dal Circolo universitario Hobbit con la sponsorizzazione della Regione.
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04 luglio 2012 | Telefriuli | reportage
Conosciamoci
Giornalismo di guerra e altro.
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03 gennaio 2011 | Radio Capodistria - Storie di bipedi | intervento |
Italia
Gli occhi della guerra
Le orbite rossastre di un bambino soldato, lo sguardo terrorizzato di un prigioniero che attende il plotone di esecuzione, l’ultimo rigagnolo di vita nelle pupille di un ferito sono gli occhi della guerra incrociati in tanti reportage di prima linea.
Dopo l’esposizione in una dozzina di città la mostra fotografica “Gli occhi della guerra” è stata inaugurata a Trieste. Una collezione di immagini forti scattate in 25 anni di reportage da Fausto Biloslavo, Gian Micalessin e Almerigo Grilz, ucciso il 19 maggio 1987 in Mozambico, mentre filmava uno scontro a fuoco. La mostra, che rimarrà aperta al pubblico fino al 20 gennaio, è organizzata dall’associazione Hobbit e finanziata dalla regione Friuli-Venezia Giulia. L’esposizione è dedicata a Grilz e a tutti i giornalisti caduti in prima linea. Il prossimo marzo verrà ospitata a Bruxelles presso il parlamento europeo.Della storia dell'Albatross press agency,della mostra e del libro fotografico Gli occhi della guerra ne parlo a Radio Capodistria con Andro Merkù.
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