image
Reportage
30 marzo 2015 - Prima - Bosnia - Il Giornale
Le bandiere nere dell’Islam sventolano già in Europa
VELIKA KLADUSA (Bosnia) - Le bandiere nere sventolano in Bosnia, ad un passo dall'Italia, ben più vicine rispetto alla Libia. Il viaggio fra le comunità dei 3mila estremisti salafiti annidati nel cuore dei Balcani inizia ad Osve, un ex villaggio serbo sperduto fra le colline nella Bosnia centrale. Per raggiungerlo c'è solo una strada sterrata neppure segnata sulle mappe. Sembra desolato, a parte la bandiera nera che sventola con la professione di fede musulmana, molto simile a quelle di Al Nusra, la costola di Al Qaida dei ribelli siriani.
«Non sono certo contento della perdita di mio figlio, ma con la sua morte si è compiuta la volontà di Allah» spiega Hamdo Fojnica offrendoci tè e biscotti nella spartana stanza della preghiera del villaggio. Suo figlio Emrah, 23 anni, nome di battaglia Khattab, si è fatto saltare in aria in Irak. Il papà del kamikaze con il barbone salafita ammette: «È terribile perdere un figlio, ma se Allah decidesse che pure i suoi due fratelli devono andare in Siria non potrei oppormi».
Dalle poche case della zona, molte ancora distrutte dalla guerra di 20 anni fa, sarebbero partiti per la guerra santa una ventina di mujaheddin bosniaci. Appena arrivati una macchina nera senza targa ci ha superato. All'interno c'erano due giovani barbuti, uno in mimetica. Quando hanno capito che siamo forestieri sono sgommati via a tutta velocità. Fra le stradine polverose di Osve sembra di vivere in un emirato talebano con le donne coperte dal velo nero dalla testa ai piedi.
«La Bosnia non fa eccezione alla minaccia jihadista dei foreign fighters (i combattenti islamici europei in Siria e Irak nda)» spiega, Ruggero Corrias, l'ambasciatore italiano a Sarajevo. Le stime ufficiali parlano di 160 bosniaci partiti per la guerra santa, ma gli americani pensano che siano 340. «Prossimità geografica, stato di diritto fragile e una profonda crisi economica sono elementi che, in Bosnia impongono doppia attenzione - sottolinea il diplomatico - Il Governo italiano ne è consapevole e agisce su due piani: sicurezza e prospettiva europea del Paese».
L'Europa non attecchirà mai a Gornja Maoca, la più famosa enclave salafita nella Bosnia orientale. Agli inizi di febbraio era apparso il simbolo del Califfato, poi cancellato. Adesso sono rimaste le bandiere nere con la scimitarra, che sventolano fra le case e sulla moschea. La comunità isolata dal resto del mondo è nata con i combattenti stranieri della guerra fratricida degli anni novanta, che hanno ottenuto in cambio la cittadinanza bosniaca.
Il problema è che da queste semplici case sperdute fra i boschi sono andati in Siria personaggi del calibro di Nusret Imamovic, uno dei leader stranieri fra le fila di Al Qaida inserito nella lista dei «terroristi globali» dagli Stati Uniti. Da Gornja Maoca era passato anche Mevlid Jašarevic condannato a 15 anni di carcere per aver sparato con un kalashnikov contro l'ambasciata Usa a Sarajevo, nel 2011.
I barbuti non amano farsi fotografare, ma si dimostrano amichevoli. L'unica «arma» che si vede in giro è un kalashnikov di legno per i bambini, che ti salutano con il dito indice rivolto verso l'alto per indicare Allah.
«È apparenza: Sono convinti che conquisteranno Roma. Non vi rendete conto che il vero pericolo è più vicino rispetto alla Libia. La minaccia non riguarda solo la Bosnia, ma anche l'Italia e l'Europa» sostiene Esad Hecimovic, un giornalista di Sarajevo esperto dell'estremismo islamico.
Nella Bosnia occidentale, l'area di Velika Kladusa era la roccaforte del predicatore Bilal Bosnic finito dietro le sbarre lo scorso settembre per incitamento e reclutamento alla guerra santa. Ancora oggi in città ci sono 150 salafiti e nel cantone sarebbero almeno 500. L'imam moderato, Selvedin Beganovic, ha denunciato di essere stato assalito cinque volte da dicembre. Beganovic si è schierato contro il reclutamento di volontari in Siria: «Quella non è la nostra guerra. La jihad in Bosnia è la lotta contro la disoccupazione e la crisi economica». Da più parti c'è qualche dubbio sulla sua versione, ma lui racconta che la terza volta stavano per ucciderlo e mostra la ferita di un coltello vicino al cuore. «L'assalitore era mascherato e prima mi ha colpito alla testa - spiega Beganovic - Sono semi svenuto e ricordo solo che mi diceva “adesso ti sgozzo”». 
Bosnic viveva in una grande casa a Buzim, dove una delle giovani mogli ci fulmina con lo sguardo, che si intravede sotto il velo integrale. «Non ho niente da dirvi se non che dovreste abbracciare l'Islam - sbotta - Mio marito è in carcere ingiustamente. Noi viviamo per Allah e siamo pronti a morire per lui».
Da queste parti Bosnic si è fatto fotografare lo scorso anno con i suoi accoliti ed una bandiera nera e bianca dello Stato islamico alle spalle. A casa sua ha ospitato due mujaheddin balcanici partiti dalla provincia di Belluno verso la Siria. Uno dei due, Ismar Mesinovic, è morto in combattimento nel gennaio 2104. Prima di partire passando per la Bosnia gli avevano ordinato di «reperire un drone radiocomandato da impiegare nel teatro di guerra», secondo le indagini del Ros di Padova.
Nell'area sperduta di Bosanska Bojna, a pochi chilometri da casa sua, Bosnic ha comprato almeno 8 ettari di terra per costruire una majid, un centro di preghiera salafita. La procura di Sarajevo ha accertato che nel giro di due anni gli sono arrivati 200mila dollari da un misterioso benefattore in Qatar. Non aveva scelto il posto a caso. Oltre ad essere isolato è ad un chilometro dallo sguarnito confine europeo della Croazia. Nonostante la sbarra con il cartello «alt polizia», i posti di controllo sono chiusi e non si vede in giro una sola guardia di frontiera. Infiltrare nell'Unione europea armi o terroristi sarebbe un gioco da ragazzi. 
www.gliocchidellaguerra.it
[continua]

video
16 luglio 2019 | Quarta repubblica | reportage
I migranti da Sarajevo all'Italia
In Bosnia ci sono ottomila migranti che vogliono passare il confine croato per venire in Italia Si infilano anche di giorno nelle piantagioni di granturco E in campo aperto corrono per non farsi individuare dalle pattuglie della polizia croata che utilizza pure i droni Attraverso la boscaglia, che i migranti chiamano giungla, ci mettono dieci giorni a piedi per raggiungere Trieste Siamo arrivati sul confine europeo della Croazia in mezzo al nulla Fra i 100 e 200 migranti arrivano ogni sera con il treno da Sarajevo nell’imbuto della Bosnia nord occidentale Sono giunti fino a qui lungo la rotta balcanica via Turchia, Grecia, Macedonia e Serbia La polizia federale carica i migranti su un pullman per rimandarli indietro verso la parte serba della Bosnia, ma è una farsa Si incamminano lungo la strada asfaltata… e spariscono…. il giorno dopo riprendono il cammino verso i campi di accoglienza del cantone di Bihac vicini al confine croato A Vuciak, che significa tana del lupo, è stata montata una tendopoli Sono in 500, soprattutto pachistani e bengalesi, che non scappano dalle guerre come questo gruppetto Gli scontri fra migranti, per soldi o telefonini, sono all’ordine del giorno La Bosnia nord occidentale è una grande Lampedusa terrestre dove sono passati dal 2017 20mila migranti illegali diretti in Europa E la popolazione è esasperata Il “gioco” così i migranti chiamano il viaggio clandestino dalla Bosnia Ogni giorno escono dai campi con zaino e sacco a pelo e si dirigono alla stazione degli autobus L’autista compiacente che ha fatto pagare il biglietto il doppio scarica i migranti all’incrocio per la Croazia A ridosso del confine si fermano e si nascondono nelle case abbandonate Si muovono soprattutto con il buio grazie ai percorsi su Google map inviati via telefonino da chi ce l’ha fatta ma solo il 10% passa al primo tentativo. I croati li intercettano con le camere termiche, li pestano e rimandano in Bosnia dopo averli sequestrato anche le scarpe E i migranti ritentano il gioco dell’oca anche venti volte fino a quando non arrivano a Trieste

play
08 aprile 2015 | TG5 | reportage
Bandiere nere in Bosnia e minacce al Papa
In Bosnia, ad un passo dall’Italia, sventolano le bandiere nere dell’Islam che ricordano quelle dei tagliagole che combattono in Siria. Sperduti fra boschi e colline non sono pochi i villaggi roccaforti dei salafiti, come Osve dove sembra di vivere in un emirato talebano con le donne coperte dalla testa ai piedi. Fra le case di Osve, una volta villaggio serbo, sventola la bandiera nera. Il figlio di Hamdo, Emrah Fojnica, si è fatto saltare in aria a 23 anni. Assieme a lui sarebbero partiti da quest’area una ventina di mujaheddin. Per raggiungere i villaggi roccaforte degli estremisti bisogna percorrere strade neppure segnate sulle mappe. Il rappresentante di Gornja Maoca spiega così la presenza delle bandiere nere. Secondo Edis Bosnic, barbone islamico d’ordinanza, ”la bandiera e la scritta è una testimonianza di fede che dice "Non c'è altro Dio che Allah e Maometto è il suo profeta”. Peccato, però, che sia anche il vessillo usato dai tagliagole. I bambini giocano con i kalaschnikov di legno. Da queste case è partito per la Siria, uno dei leader dei combattenti bosniaci, Nusret Imamovic, sulla lista nera americana dei terroristi. Dragan Lukac, il ministro dell’interno della Repubblica serba in Bosnia, lancia l’allarme: Abbiamo delle informazioni su possibili minacce dei radicali islamici per la visita del Papa, il 6 giugno, ci sono commenti on line sul fatto che non ha nulla a che fare con Sarajevo - rivela il ministro - convinto, però, che la polizia bosniaca garantirà la massima sicurezza alla visita. Husein Bosnic detto Bilal è sotto processo a Sarajevo con l’accusa di arruolare i volontari della guerra santa che dall’Europa, compresa l’Italia, vanno a combattere in Siria. E non solo....

play
16 luglio 2019 | Tg4 | reportage
Bosnia, Lampedusa terrestre
In Bosnia, una gigantesca Lampedusa terrestre, arrivano un centinaio di migranti al giorno. E si incamminano verso il nostro paese per entrare in Europa 00. 12 - “Non ho documenti. Tutti noi del Bangladesh adesso andiamo in Italia” E prima di affrontare i dieci giorni di viaggio soprattutto a piedi consultano le mappe con i campi minati della guerra nell’ex Yugoslavia Uno dei punti di partenza è questa tendopoli allestita dalle autorità a Vucjak nella Bosnia nord occidentale La croce rossa locale fa quelle che può distribuendo viveri per circa 500 migranti in gran parte pachistani e addirittura nepalesi, che tentano più volte di arrivare a Trieste 00.50 “Sono dell’Afghanistan e sto viaggiando da 4 anni per venire in Europa. Ieri sono stato deportato dalla Slovenia di nuovo in Bosnia” E la tensione è alle stelle con scontri etnici fra i migranti. Secondo la polizia locale sono stati registrati negli ultimi mesi 489 incidenti spesso per soldi o telefonini Soprattutto a Bihac dove i migranti si incontrano per strada 1.23- “Chi ti ha assalito. Chi?” “Penso afghani e pachistani” “Altri migranti?” “Altri migranti” Al campo di Vuciak, che significa tana del lupo, l’acqua arriva con le autopompe. Solo nel cantone di Bihac, sul confine più a nord ovest con la Croazia, ci sarebbero 4500 migranti in 5 centri e altri in sistemazioni private. Li aiutano anche alcune volontarie italiane 1.53 - Mirian Ong delle Acli

play
[altri video]