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Reportage
01 settembre 2016 - Prima - Libia - Corriere del Ticino
“E quando arriva il kamikaze a salvarci è un carro armato”
Fausto Biloslavo SIRTE - Allah o akbar (Dio è grande) urla un giovane combattente libico dalla torretta del carro armato piazzato ad un angolo di strada. E la cannonata parte con un boato pazzesco. Il T 72 di origine sovietica erutta una lingua di fuoco e solleva una nuvola di polvere. Ottocento metri più in là la cannonata riduce in briciole un cecchino delle bandiere nere, che si annidava in una palazzina del quartiere 1 vicino al centro di Sirte.  L’offensiva finale per spazzare via la roccaforte dello Stato islamico in Libia va avanti da due settimane con improvvise e feroci battaglie. Tremila uomini in gran parte di Misurata, ma giunti anche da Tripoli, Zliten, Zwara e altre città, una volta tanto unite, avanzano combattendo casa per casa con l’appoggio aereo americano. Il 28 agosto è scattata l’ennesima spallata. Alle 10 del mattino artiglieria e carri armati aprono la strada ai combattenti anti Isis, che prima di avanzare si allineano al riparo dei palazzi nel cuore si Sirte. Qualcuno porta l’elmetto, altri il giubbotto antiproiettile, ma con i sandali ai piedi. Nessuno indossa un’uniforme uguale all’altro. Non mancano i portafortuna, come una pecorella di pezza o un orsacchiotto di peluche. “I nostri figli vogliono che li portiamo al fronte convinti che ci proteggeranno. A noi ricordano sempre che abbiamo una famiglia a casa dove tornare” spiegano i combattenti. La variegata armata Brancaleone libica fedele al nuovo governo di Tripoli voluto dall\\\'Onu sta per far cadere la prima “capitale” del Califfo. Di fronte al quartiere 1, espugnato dopo due giorni di cruenti scontri, il crepitare della mitraglia è incessante. Al sibilo della morte del proiettile dei cecchini ci si fa quasi l’abitudine. Le bandiere nere non mollano e rispondono al fuoco con i mortai nel tentativo di colpire i mezzi corazzati che li martellano. L’impatto pauroso della granate jihadiste alza colonne di fumo nero, che si mescolano alle nuvole bianche rendendo il cielo sopra Sirte cupo e tenebroso. “Anche se sono pochi e circondati non si arrendono - racconta Mustafa al Shebani, giovane comandante della terza brigata - Ad Ouagadougou (un caposaldo dell’Isis conquistato nella prima metà di agosto nda) i miliziani di Daesh (Stato islamico nda) erano rimasti in cinque. Da dietro un muro li abbiamo intimato di gettare le armi. Ci hanno risposto che avrebbero combattuto fino alla morte. E che noi non siamo veri musulmani, ma cani al servizio degli americani”. Shebani, con la barbetta ben curata e la mimetica italiana, comanda il fronte di Anaga, il più duro. Di fronte c’è il quartiere 3, l’ultimo caposaldo dello Stato islamico a Sirte. I suoi uomini sparano come ossessi da un palazzo che si affaccia su uno stradone a due corsie. Nella terra di nessuno resiste un cartello con la bandiera nera.  La macchina minata arriva come un fulmine lungo lo stradone. Il kamikaze al volante del veicolo trasformato in ariete esplosivo punta verso la nostra postazione, dove scoppia il caos. Tutti urlano e sparano, ma i colpi di armi leggere rimbalzano sulla corazza artigianale. Non è facile fermarlo con un lanciarazzi Rpg. Un carro armato in fondo alla strada cerca di incenerire la minaccia. Nel caos totale ci investe lo spostamento d’aria di una terribile esplosione. Il kamikaze è stato centrato prima di arrivarci addosso a soli 20 metri di distanza. I resti carbonizzati della macchina minata bruciano davanti ai nostri occhi. Dietro un edificio straziato dai combattimenti vengono distribuite bottigliette d’acqua fresca, mele, dolci e anche lattine di Pepsi Cola ai combattenti assetati con una temperatura che sfiora i 40 gradi. “Sir, come va?” urla sorridendo un ragazzino magro e sbarbatello. Fino al giorno prima faceva il cameriere in un caffè di Misurata. Oggi è in guerra. A ridosso della prima linea i libici hanno ricavato un pronto soccorso in un negozio abbandonato. L’ambulanza scarica una barella con un combattente colpito al fianco da un proiettile. La ferita è grave. Si vede il foro d’entrata, ma non quello di uscita. I caduti da maggio per la liberazione di Sirte sono 480. Sugli altri lettini da campo un anziano ha la barba rossastra come il sangue che gli imbratta la mimetica. Mohammed Lajnef è un medico da prima linea, che cerca di strappare i feriti alla morte. “Questa battaglia non è solo per la Libia, ma una guerra internazionale contro la minaccia dell’Isis” sottolinea il chirurgo con bandana marrone e camice azzurro.  Sul tetto di una palazzina sbrecciata dalle cannonate è vitale tenere bassa la testa. I proiettili dei cecchini sibilano dappertutto. Un paio di giovanotti di Misurata tirano sventagliate  di mitragliatrice verso le postazioni dello Stato islamico. Il ragazzo poco più che ventenne imbraccia l’arma spara all’impazzata. Un altro, ancora più giovane, è rannicchiato al suo fianco e lo segue per far scorrere il nastro di pallottole.  In un vicolo sono abbandonati e aggrovigliati uno all’altro tre corpi dei miliziani del Califfo, che cominciano a gonfiarsi sotto il sole. Uno, di pelle molto scura, e fattezze diverse potrebbe far parte della legione di volontari nigeriani di Boko Haram (Occidente è peccato), che combattono a Sirte con le bandiere nere. La scena più incredibile è quella di un furgoncino protetto da corazze artigianali fermo in mezzo alla strada. Sul volante è riverso il corpo di un kamikaze. La spessa lamiera davanti è ridotta ad un colabrodo dai proiettili di mitragliatrice pesante. Un cecchino deve averlo colpito l’autista suicida prima che si facesse esplodere. Nel cassone sul retro ci sono ancora proiettili di artiglieria e fili per l’innesco. Nessuno osa toccarlo per timore che salti tutto in aria. Il 30 agosto dopo 99 raid aerei americani e giorni di battaglia strada per strada qualche centinaio di jihadisti ancora resiste nel quartiere 3 di Sirte. Al riparo di montagnette di sabbia i combattenti anti Isis corrono avanti e indietro sparando valanghe di fuoco verso il nemico. Si aspetta solo che l’ospedale di Misurata riescano ad evacuare i feriti più gravi in Tunisia o Turchia per liberare i letti. Poi scatterà l’ultima, sanguinosa, spallata per la liberazione di Sirte.

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24 marzo 2011 | TGCOM | reportage
Da Triboli il quadro della situazione
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26 marzo 2011 | TG5 | reportage
Diario dalla Libia in fiamme
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22 marzo 2011 | TG5 | reportage
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radio

26 agosto 2011 | Radio Città Futura | intervento
Libia
I giornalisti italiani rapiti a Tripoli


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08 marzo 2011 | Panorama | intervento
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Diario dalla Libia
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02 marzo 2011 | Panorama | intervento
Libia
Diario dalla Libia
Una nube nera su tutta Tripoli

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29 aprile 2011 | Spazio Radio | intervento
Libia
Piegare Gheddafi e preparare l'intervento terrestre
Gli americani spingono con insistenza per un maggiore coinvolgimento dell’Italia nel conflitto in Libia, non solo per passare il cerino politico agli europei. L’obiettivo finale è piegare il colonnello Gheddafi e far sbarcare una forza di interposizione in Libia, con ampia partecipazione italiana. Un modello stile ex Yugoslavia, dove il contingente occidentale è arrivato dopo l’offensiva aerea.

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12 maggio 2011 | Nuova spazio radio | intervento
Libia
Che fine ha fatto Gheddafi?
Il colonnello Gheddafi è morto, ferito oppure in perfetta forma, nonostante le bombe, e salterà fuori con la sua ennesima e prolissa apparizione televisiva? Il dubbio è d’obbligo, dopo i pesanti bombardamenti di Tripoli. Ieri è ricomparaso brevemente in un video girato durante un incontro, all'insaputa dei giornalisti, nell'hotel di Tripoli che ospita la stampa internazionale.

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