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26 ottobre 2016 - Notizie - Iraq - Grazia
Il Califfo vuole risorgere in Europa
Per il Califfo è l’inizio della fine, ma il tracollo dello Stato islamico rischia di scatenare i colpi di coda del terrorismo a casa nostra, secondo un piano segreto studiato da tempo dagli integralisti con le bandiere nere. Sirte, la roccaforte del terrore in Libia, è quasi del tutto conquistata. L’attacco finale su Mosul, la “capitale” irachena dove Abu Bakr al Baghdadi proclamò il Califfato nel 2014, è iniziato. E poi toccherà a Raqqa, in Siria, da dove sono partite le bandiere nere per conquistare un’area grande come l’Italia. Due anni dopo, il Califfato ha perso oltre il 50 per cento del territorio in Iraq, il 30 per cento in Siria e quasi tutto in Libia.
La sua sconfitta, prevista per il 2017, non deve, però, farci cantare vittoria. «Centinaia di feroci assassini che non moriranno in battaglia torneranno a casa», ha dichiarato James B. Comey Jr., direttore dell’Fbi, lanciando l’allarme sul “crollo del Califfato”. La sconfitta in Medio Oriente delle bandiere nere non significa la fine della minaccia. Il capo dell’Fbi prevede che per cinque anni l’Occidente, e in particolare l’Europa, subiranno l’effetto boomerang del tracollo sul terreno del Califfo.
In Siria e Iraq si sono arruolati tra 25 mila e 30 mila volontari della “guerra santa” provenienti da mezzo mondo. Un rapporto del Centro internazionale per l’antiterrorismo dell’Aja ha calcolato, lo scorso aprile, che i combattenti delle bandiere nere provenienti dall’Unione europea sono 4.294. Almeno il 30 per cento è già tornato a casa. «Quando rientrano e contattano ambienti (islamici) radicali si crea una situazione molto tesa per la sicurezza nazionale», sostiene Dick Schoof, il coordinatore dell’antiterrorismo in Olanda. La caduta di Mosul o Raqqa provocherà l’esodo verso casa dei sopravvissuti della “guerra santa” compresi un centinaio di jihadisti partiti dall’Italia. In realtà, il rientro in piccoli gruppi è già iniziato, secondo
un piano segreto dell’intelligence del Califfato. Harry Sarfo, un pentito dello Stato Islamico, ha rivelato l’esistenza di una rete di cellule «sviluppate in Europa negli ultimi due anni con il ritorno dei volontari della “guerra santa”», come strategia per attaccarci quando il Califfato perderà il controllo del territorio in Medio Oriente. I terroristi hanno già colpito a Parigi e Bruxelles, ma molti rimangono “in sonno”, pronti ad agire quando cadranno Mosul e Raqqa. L’obiettivo è la vendetta, non solo con il classico attentato ma cercando di aizzare le sacche integraliste in vere e proprie rivolte contro la società occidentale.
La risposta di esercito, polizia e servizi segreti ha tre livelli. In Siria e Iraq vengono seguiti con satelliti, droni e computer gli spostamenti dei combattenti islamici, per capire se stanno per rientrare in Europa. Alle frontiere si tenta di identificare i rifugiati siriani per scoprire quali sono i “foreign fighter” che tornano a casa con documenti falsi. E nel nostro continente vengono monitorati i rapporti tra le persone sospette e le comunità musulmane radicali.
L’offensiva per conquistare Mosul è scattata a fine marzo, ma dal 17 ottobre è partita la fase finale, che durerà mesi. I curdi da nord, addestrati dai soldati turchi e italiani, sono avanzati fino a una quindicina di chilometri dalla “capitale” del Califfo conquistando alcuni villaggi per chiudere l’assedio. Il grosso dell’attacco spetta all’esercito iracheno da sud. Non sarà un’impresa facile. Una dozzina di divisioni irachene sono attestate a semicerchio a una settantina di chilometri da Mosul. Il trampolino di lancio dell’attacco è Al Qayara, un aeroporto militare dove gli americani stanno mandando 500 uomini per garantire l’appoggio all’offensiva. Solo nell’ultimo mese i bombardamenti mirati degli Stati Uniti hanno eliminato 18 comandanti dell’Isis, in gran parte ceceni. Si calcola che almeno 4 mila volontari stranieri, compresi europei e americani, formino il corpo di pretoriani del Califfo a Mosul. Nella “capitale” vivono due milioni di abitanti. In molti fuggiranno, scatenando una crisi umanitaria.
La battaglia di Mosul coinvolge pure i 500 soldati italiani dispiegati a protezione dei lavori di ristrutturazione della diga a 15 chilometri dalla prima linea attorno alla città. Dall’inizio di ottobre le bandiere nere hanno lanciato già due volte razzi verso le nostre postazioni, per fortuna imprecisi. Gli italiani della task force Praesidium hanno fatto intervenire gli aerei alleati, che hanno distrutto le rampe di lancio degli ordigni, ma si teme sia solo l’inizio. I nostri soldati sono gli “infedeli” più vicini alle bandiere nere di Mosul. Il 7 settembre l’intelligence aveva lanciato l’allarme rivelando un piano di attacco alla diga.
Dopo Mosul toccherà a Raqqa, la prima “capitale” dello Stato islamico in Siria, dove sono nate le bandiere nere. Il 16 ottobre è stata conquistata dai ribelli siriani anti-Califfo appoggiati dalla Turchia la cittadina simbolo di Dabiq. Secondo una profezia è il luogo della fine del mondo, dove dovrebbe scatenarsi l’ultima battaglia fra i musulmani e gli infedeli. La liberazione di Dabiq fa parte della sanguinosa sfida per il controllo della città siriana di Aleppo, che aprirà le porte alla conquista di Raqqa. I curdi del nord hanno già cominciato la marcia di avvicinamento. Nei loro ranghi è arruolato un antagonista torinese, Davide Grasso, che ha pubblicato su YouTube un video appello al governo di Matteo Renzi. «Io combattente italiano», ha esordito con il volto coperto, «mi rendo conto che i nomi di queste città (in Siria, nda) possono sembrarvi lontani, ma credetemi: quel che accade qui (…) può trasformarsi nei nostri lutti già domani, in Europa». Dall’altra parte della barricata il portavoce dello Stato islamico, Abu Muhammad al Adnani, ucciso il 30 agosto, confermava fra le righe il pericolo mortale della rappresaglia a casa nostra nel suo ultimo video. «Saremo sconfitti se (gli infedeli, nda) dovessero conquistare Mosul, Sirte o Raqqa?», si chiedeva il portavoce del Califfo. «Certamente no».

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21 giugno 2016 | Caffè di Rai 1 | reportage
Profughi dimenticati
Sulle macerie della guerra in Iraq, grazie al Rotary, abbiamo raccontato il dramma dei profughi dimenticati. Siamo stati gli occhi della guerra lungo il fronte dove scappano i rifugiati dall'offensiva su Mosul, la capitale del Califfato. Siamo andati nei campi dove i cristiani in fuga vivono in condizioni miserevoli. Siamo stati sotto le tende dei siriani attirati dai trafficanti per partire verso l’Europa. Abbiamo raccolto le testimonianze dei rifugiati yazidi massacrati dalle bandiere nere. Con le loro donne schiave come Lamja saltata su una mina per fuggire allo Stato islamico. Drammi veri provocati dalla tragedia della guerra.Storie terribili, che non possiamo dimenticare e che abbimo presentato 7 giugno a Cremona.

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12 febbraio 2008 | Top Secret Rete 4 | reportage
Iraq: il caso Calipari
Fausto Biloslavo e Barbara Schiavulli parlano di Nicola Calipari il numero due del Sismi ucciso ad un posto di blocco americano in Iraq, mentre portava in salvo Giuliana Sgrena, la giornalista del Manifesto sequestrata a Baghdad nel 2005. Con Claudio Brachino si parla anche della missione italiana ad An Nassiryah e dell'impegno militare in Afghanistan.

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06 marzo 2010 | Rai News 24 | reportage
I morti di Nassiriya
Sei anni dopo la strage non si fermano le polemiche sulla mancata sicurezza della base e sulle responsabilità dei comandanti.

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14 giugno 2014 | Radio24 | intervento
Iraq
L'avanzata del Califfato
Il califfato con Baghdad capitale, Corano e moschetto, mani amputate ai ladri, nemici crocefissi, tasse islamiche, donne chiuse in casa ed Occidente nel mirino con l’obiettivo di governare il mondo in nome di Allah. Questo è lo “Stato islamico dell’Iraq e della Siria” (Isis), che sta conquistando città dopo città rischiando di far esplodere il Medio Oriente.

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26 agosto 2010 | Radio Anch'io - Radio Uno | intervento
Iraq
Missione compiuta?
Il ritiro del grosso dei soldati americani lascia un paese ancora instabile, ma la missione è in parte compiuta.

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06 ottobre 2015 | Zapping Rai Radio 1 | intervento
Iraq
Raid italiani in Iraq?
Raid italiani le ipotesi:Paolo Magri dir.Ispi,Fausto Biloslavo corrispondente Il Giornale.

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31 ottobre 2010 | Nuova Spazio Radio | intervento
Iraq
Wikileaks dice quello che si sa già. Per tutti è un grande scoop
I rapporti Usa che smonterebbero la versione italiana di un episodio della battaglia dei ponti ad An Nassiryah e la morte accidentale di un paracadutista in Iraq sono la classica tempesta in un bicchier d’acqua. Le rivelazioni di Wikileaks sugli italiani della missione Antica Babilonia derivano dagli stessi rapporti scritti dal nostro contingente, che lungo la catena di comando arrivavano fino al quartier generale americano a Baghdad. E altro ancora.

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