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Articolo
03 giugno 2019 - Interni - Italia - Il Giornale |
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| Genova, sbarcano i migranti “Ora li manterrà il Vaticano” |
Il centinaio di migranti tratti in salvo dalla Marina militare il 30 maggio sono stati sbarcati nel porto di Genova e subito smistati verso centri di accoglienza dei vescovi italiani. Una parte dovrebbe andare anche all\'estero. «Nessuno dei migranti sbarcati a Genova sarà a carico dei contribuenti italiani. Ringraziamo la Cei e il Vaticano e gli altri Paesi europei che ci hanno aiutato a risolvere il problema: grazie al nostro lavoro, l\'Italia finalmente non è più sola» ha dichiarato Matteo Salvini, ministro dell\'Interno. Al momento rimarranno nel porto ligure solo 11 minori non accompagnati e una donna ustionata con il suo bambino. Ieri pomeriggio un primo pullman è partito verso il Lazio con 50 migranti a bordo, tutti uomini, diretti in una struttura della Chiesa. «Ora li manteranno i vescovi e il Vaticano e io li ringrazio, perché un conto è riattaccare la luce in un condominio e poi qualcun altro pagherà, un conto è passare dalle parole ai fatti. Se qualcuno verrà mantenuto a spese di altri e non dell\'Italia, sono contento, è una cosa storica» ha aggiunto il vicepremier e responsabile del Viminale. A bordo della nave della Marina, Cigala Fulgosi, sono saliti gli agenti di polizia per identificare eventuali scafisti. Qualcuno sul gommone aveva un satellitare e comunicava con Alarm phone, il centralino dei talebani dell\'accoglienza. Lo scafista o migrante furbetto faceva pressioni con notizie false, come la bufala della bambina di cinque anni morta sul gommone per sollecitare l\'intervento della Marina. «Ci siamo concentrati sulla parte medica, ma hanno raccontato che sono stati due giorni in mare e di aver perso dei compagni di viaggio» ha detto Paolo Cremonesi, direttore del pronto soccorso dell\'ospedale Galliera di Genova, che ha coordinato l\'assistenza sanitaria dei migranti. Non è chiaro quando, chi e dove siano morti in mare, ma il virgolettato serve ad alimentare i soliti peana pro sbarchi. L\'unico dato certo è che gli sbarcati provengono da paesi in guerra come Libia e Somalia, ma sono pure migranti illegali perché se ne sono andati da nazioni come Cosa d\'Avorio e Camerun per motivi economici. A parte 6-7 casi di scabbia stanno tutti bene e circa 40 dovrebbero venire distribuiti fra cinque paesi europei. In vista dell\'estate le partenze dal Nord Africa sono in aumento. La Tunisia si è rifiutata di aprire i porti a un rimorchiatore battente bandiera del Belize, che sabato mattina aveva soccorso un centinaio di migranti. Ovviamente le Ong, come Msf, sostengono che Tunisi non va bene per le carenze sul diritto d\'asilo. Il risultato è scontato: «I porti sicuri più vicini sono Italia e Malta». Nelle prime ore dell\'alba di ieri le forze dell\'ordine hanno intercettato 65 migranti che vagavano in provincia di Taranto, dopo essere sbarcati durante la notte. Quasi tutti pachistani potrebbero essere arrivati dalla rotta dell\'Egeo partendo dalla Turchia. Sorprendente il dissequestro della nave Sea watch 3, che ha beffato il Viminale riuscendo a fare sbarcare il carico di migrati grazie al provvedimento della magistratura. Alla procura di Agrigento erano state fornite informazioni molto precise sul reato di favoreggiamento dell\'immigrazione clandestina. E le autorità italiane stanno anche puntando i riflettori sugli aerei delle Ong, che hanno segnalato i gommoni partiti dalla Libia negli ultimi casi controversi. Sia Colibrì, che Moonbird sono decollati, non più da Malta, ma da Lampedusa. Una beffa dei Pilotes Volontaires francesi, che in realtà sono in gran parte finanziati da Sea watch, gli oltranzisti tedeschi appena tornata in mare con la nave dissequestrata. Nel 2018 era stata stanziata una cifra di circa 200mila euro. Un gruzzolo in gran parte donato dalla Chiesa evangelica tedesca. |
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31 ottobre 2021 | Quarta repubblica | reportage
No vax scontri al porto
I primi lacrimogeni rimbalzano sull'asfalto e arditi No Pass cercano di ributtarli verso il cordone dei carabinieri che sta avanzando per sgomberare il varco numero 4 del porto di Trieste. I manifestanti urlano di tutto «merde, vergogna» cercando pietre e bottiglie da lanciare contro le forze dell'ordine. Un attivista ingaggia lo scontro impossibile e viene travolto dalle manganellate. Una volta crollato a terra lo trascinano via oltre il loro cordone. Scene da battaglia urbana, il capoluogo giuliano non le vedeva da decenni.
Portuali e No Pass presidiavano da venerdì l'ingresso più importante dello scalo per protestare contro l'introduzione obbligatoria del lasciapassare verde. In realtà i portuali, dopo varie spaccature, sono solo una trentina. Gli altri, che arriveranno fino a 1.500, sono antagonisti e anarchici, che vogliono la linea dura, molta gente venuta da fuori, più estremisti di destra.
Alle 9 arrivano in massa le forze dell'ordine con camion-idranti e schiere di agenti in tenuta antisommossa. Una colonna blu che arriva da dentro il porto fino alla sbarra dell'ingresso. «Lo scalo è porto franco. Non potevano farlo. È una violazione del trattato pace (dello scorso secolo, nda)» tuona Stefano Puzzer detto Ciccio, il capopopolo dei portuali. Armati di pettorina gialla sono loro che si schierano in prima linea seduti a terra davanti ai cordoni di polizia. La resistenza è passiva e gli agenti usano gli idranti per cercare di far sloggiare la fila di portuali. Uno di loro viene preso in pieno da un getto d'acqua e cade a terra battendo la testa. Gli altri lo portano via a braccia. Un gruppo probabilmente buddista prega per evitare lo sgombero. Una signora si avvicina a mani giunte ai poliziotti implorando di retrocedere, ma altri sono più aggressivi e partono valanghe di insulti.
Gli agenti avanzano al passo, metro dopo metro. I portuali fanno da cuscinetto per tentare di evitare incidenti più gravi convincendo la massa dei No Pass, che nulla hanno a che fare con lo scalo giuliano, di indietreggiare con calma. Una donna alza le mani cercando di fermare i poliziotti, altri fanno muro e la tensione sale alimentata dal getto degli idranti. «Guardateci siamo fascisti?» urla un militante ai poliziotti. Il nocciolo duro dell'estrema sinistra seguito da gran parte della piazza non vuole andarsene dal porto. Quando la trattativa con il capo della Digos fallisce la situazione degenera in scontro aperto. Diego, un cuoco No Pass, denuncia: «Hanno preso un mio amico, Vittorio, per i capelli, assestandogli una manganellata in faccia». Le forze dell'ordine sgomberano il valico, ma sul grande viale a ridosso scoppia la guerriglia. «Era gente pacifica che non ha alzato un dito - sbotta Puzzer - È un attacco squadrista». I più giovani sono scatenati e spostano i cassonetti dell'immondizia per bloccare la strada scatenando altre cariche degli agenti.
Donne per nulla intimorite urlano «vergognatevi» ai carabinieri, che rimangono impassibili. In rete cominciano a venire pubblicati post terribili rivolti agli agenti: «Avete i giorni contati. Se sai dove vivono questi poliziotti vai a ucciderli».Non a caso interviene anche il presidente Sergio Mattarella: «Sorprende e addolora che proprio adesso, in cui vediamo una ripresa incoraggiante esplodano fenomeni di aggressiva contestazione». Uno dei portuali ammette: "Avevamo detto ai No Pass di indietreggiare quando le forze dell'ordine avanzavano ma non ci hanno ascoltati. Così la manifestazione pacifica è stata rovinata».
Puzzer raduna le «truppe» e i rinforzi, 3mila persone, in piazza Unità d'Italia. E prende le distanze dagli oltranzisti: «Ci sono gruppi che non c'entrano con noi al porto che si stanno scontrando con le forze dell'ordine». Non è finita, oltre 100 irriducibili si scatenano nel quartiere di San Vito. E riescono a bloccare decine di camion diretti allo scalo con cassonetti dati alle fiamme in mezzo alla strada. Molti sono vestiti di nero con il volto coperto simili ai black bloc. La battaglia sul fronte del porto continua fino a sera.
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21 settembre 2012 | La Vita in Diretta | reportage
Islam in Italia e non solo. Preconcetti, paure e pericoli
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11 novembre 2008 | Centenario della Federazione della stampa | reportage
A Trieste una targa per Almerigo Grilz e tutti i caduti sul fronte dell'informazione
Ci sono voluti 21 anni, epiche battaglie a colpi di articoli, proteste, un libro fotografico ed una mostra, ma alla fine anche la "casta" dei giornalisti triestini ricorda Almerigo Grilz. L'11 novembre, nella sala del Consiglio comunale del capoluogo giuliano, ha preso la parola il presidente dell'Ordine dei giornalisti del Friuli-Venezia Giulia, Pietro Villotta. Con un appassionato discorso ha spiegato la scelta di affiggere all'ingresso del palazzo della stampa a Trieste una grande targa in cristallo con i nomi di tutti i giornalisti italiani caduti in guerra, per mano della mafia o del terrorismo dal 1945 a oggi. In rigoroso ordine alfabetico c'era anche quello di Almerigo Grilz, che per anni è stato volutamente dimenticato dai giornalisti triestini, che ricordavano solo i colleghi del capoluogo giuliano uccisi a Mostar e a Mogadiscio. La targa è stata scoperta in occasione della celebrazione del centenario della Federazione nazionale della stampa italiana. Il sindacato unico ha aderito all'iniziativa senza dimostrare grande entusiasmo e non menzionando mai, negli interventi ufficiali, il nome di Grilz, ma va bene lo stesso. Vale la pena dire: "Meglio tardi che mai". E da adesso speriamo veramente di aver voltato pagina sul "buco nero" che ha avvolto per anni Almerigo Grilz, l'inviato ignoto.
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03 giugno 2019 | Radio Scarp | intervento |
Italia
Professione Reporter di Guerra
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