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Articolo
29 aprile 2020 - Prima - Italia - Il Giornale
Ecco il documento che frena la fase 2 “Se riapriamo tutto 8 giugno da incubo”
Fausto Biloslavo
Se riapriamo tutto e subito, comprese le scuole, siamo morti. E pure tenendo gli studenti a casa e puntando sul telelavoro ma facendo ripartire l\\\'intera economia, il tempo libero e i trasporti siamo messi male. Scenari da incubo descritti nero su bianco sul rapporto di 22 pagine del Comitato tecnico scientifico, che ha convinto il governo a frenare sulla fase 2. Anche l\\\'utilità delle mascherine, che comunque dovrebbe diminuire la trasmissione del virus di almeno il 15%, viene messa in dubbio. Per le messe lo stop è auspicato fino al 25 maggio.
Le tabelle preparate dal Comitato con i dati dell\\\'Istituto superiore di sanità, il ministero della Salute, la Fondazione Bruno Kessler e l\\\'Inail sono impietose. Se il governo decidesse un liberi tutti eliminando il tele lavoro e riaprendo le scuole il sistema sanitario nazionale salta per aria l\\\'8 giugno raggiungendo il picco della terapia intensiva. Ben 151.231 contagiati avrebbero bisogno di un posto letto. A fine anno siamo morti con 430.866 infettati bisognosi di cure intensive. Il primo scenario apocalittico prevede un RO, ovvero il parametro dalla diffusione dei contagi di 2,25. In pratica ogni positivo infetterebbe altre due persone.
Anche il secondo e terzo scenario fanno tremare i polsi. Tutto aperto, comprese le scuole e solo con il telelavoro le terapie intensive non hanno più posti l\\\'8 agosto e a fine anno i numeri dei pazienti sfiorerebbe comunque i 400mila. Nell\\\'ipotesi di telelavoro e aule chiuse, ma l\\\'attività economica, trasporti e tempo libero riattivati andiamo pure male raggiungendo la saturazione delle terapie intensive a fine agosto. «Nella maggior parte degli scenari di riapertura dei soli settori professionali (in presenza di scuole chiuse), anche qualora la trasmissibilità superi la soglia epidemica, il numero atteso di terapie intensive al picco risulterebbe comunque inferiore alla attuale disponibilità di posti letto a livello nazionale (circa 9000)» è una delle conclusioni dei tecnici. La bestia nera del contagio è la scuola. «La riapertura aumenterebbe in modo significativo il rischio di ottenere una nuova grande ondata epidemica con conseguenza potenzialmente molto critiche sulla tenuta del sistema sanitario nazionale» è il primo risultato del rapporto.
Sul fronte economico, se i contatti fra la gente non aumentassero «la riapertura dei settori manifatturiero, edile, commercio e ristorazione avrebbe un impatto minimale sulla trasmissibilità dell\\\'infezione» scrivono gli esperti. Però se per i primi due comparti lo «scenario può considerarsi realistico, per il settore commerciale e di ristorazione un aumento di contatti () è da considerarsi un\\\'inevitabile conseguenza dell\\\'apertura al pubblico e può potenzialmente innescare nuove epidemie». Una mazzata per negozi, bar e ristoranti, che ha comportato una frenata nella riapertura.
Non solo: «Ci sono delle incertezze sul valore dell\\\'efficacia dell\\\'uso di mascherine per la popolazione generale dovute a una limitata evidenza scientifica, sebbene le stesse siano ampiamente consigliate» spiega il rapporto.
Però non tutto è perduto: «L\\\'utilizzo diffuso di misure di precauzione (mascherine, igiene delle mani, distanziamento sociale), il rafforzamento delle attività di tracciamento del contatto (attraverso app molto discusse nda) e l\\\'ulteriore aumento di consapevolezza dei rischi epidemici nella popolazione potrebbero congiuntamente ridurre in modo sufficiente i rischi di trasmissione per la maggior parte degli scenari considerati».
Il Comitato raccomanda «la sperimentazione delle misure (magari considerando una riapertura parziale delle attività lavorative, esempio 50%) per un arco di tempo di almeno 14 giorni». I settori che possono riaprire sono il manifatturiero, l\\\'edilizio, il commercio, ma evitando aggregazioni e il trasporto locale legato alle attività.
Il Comitato, al contrario, ritiene «che la partecipazione dei fedeli alle funzioni religiose comporta allo stato attuale alcune criticità ineliminabili, che includono lo spostamento di un numero rilevante di persone e i contatti ravvicinati durante l\\\'eucarestia». Secondo i tecnici è solo «possibile consentire attività fisica su base individuale (o dove necessario intrafamiliare), inclusi bambini ed anziani, ma () in prossimità della loro residenza».
[continua]

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27 gennaio 2020 | Radio 1 Italia sotto inchiesta | intervento
Italia
Esercito e siti ebraici
Fausto Biloslavo I nostri soldati rispettano la giornata della Memoria dell’Olocausto non solo il 27 gennaio, ma tutto l’anno. L’esercito, con l’operazione Strade sicure, schiera 24 ore al giorno ben 700 uomini in difesa di 58 siti ebraici sul territorio nazionale. Tutti obiettivi sensibili per possibile attentati oppure oltraggi anti semiti. “Per ora non è mai accaduto nulla anche grazie alla presenza dei militari, che serve da deterrenza e non solo. Il senso di sicurezza ha evitato episodi di odio e minacce ripetute come in Francia, che rischiano di provocare un esodo della comunità ebraica” spiega una fonte militare de il Giornale. I soldati, che si sono fatti le ossa all’estero, sorvegliano, quasi sempre con presidi fissi, 32 sinagoghe o tempi ebraici, 9 scuole, 4 musei e altri 13 siti distribuiti in tutta Italia, ma soprattutto al nord e al centro. La città con il più alto numero di obiettivi sensibili, il 41%, è Milano. Non a caso il comandante del raggruppamento di Strade sicure, come in altre città, è ufficialmente invitato alle celebrazioni del 27 gennaio, giorno della Memoria. Lo scorso anno, in occasione dell’anniversario della nascita dello Stato di Israele, il rappresentante della comunità ebraica di Livorno, Vittorio Mosseri, ha consegnato una targa al comandante dei paracadustisti. “Alla brigata Folgore con stima e gratitudine per il servizio di sicurezza prestato nell’ambito dell’operazione Strade sicure contribuendo con attenzione e professionalità al sereno svolgimento delle attività della nostro comunità” il testo inciso sulla targa. In questi tempi di spauracchi anti semiti l’esercito difende i siti ebraici in Italia con un numero di uomini praticamente equivalente a quello dispiegato in Afghanistan nel fortino di Herat. Grazie ad un’esperienza acquisita all’estero nella protezione delle minoranze religiose, come l’antico monastero serbo ortodosso di Decani in Kosovo. “In ogni città dove è presente la comunità ebraica esiste un responsabile della sicurezza, un professionista che collabora con le forze dell’ordine ed i militari per coordinare al meglio la vigilanza” spiega la fonte del Giornale. Una specie di “assessore” alla sicurezza, che organizza anche il sistema di sorveglianza elettronica con telecamere e sistemi anti intrusione di avanguardia su ogni sito. Non solo: se in zona appare un simbolo o una scritta anti semita, soprattuto in arabo, viene subito segnalata, fotografata, analizzata e tradotta. “I livelli di allerta talvolta si innalzano in base alla situazione internazionale” osserva la fonte militare. L’ultimo allarme ha riguardato i venti di guerra fra Iran e Stati Uniti in seguito all’eliminazione del generale Qassem Soleimani. Roma è la seconda città per siti ebraici presidiati dai militari compresi asili, scuole e oratori. Le sinagoghe sono sorvegliate pure a Napoli, Verona, Trieste e quando necessario vengono disposte le barriere di cemento per evitare attacchi con mezzi minati o utilizzati come arieti. A Venezia i soldati garantiscono la sicurezza dello storico ghetto. A Livorno e in altre città sono controllati anche i cimiteri ebraici. Una residenza per anziani legata alla comunità è pure nella lista dei siti protetti a Milano. Ed i militari di Strade sicure nel capoluogo lombardo non perdono d’occhio il memoriale della Shoah, lo sterminio degli ebrei voluto da Hitler.

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