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07 ottobre 2020 - Prima - Italia - Il Giornale
Il governo pianifica l’ “insicurezza”: tolti divieti e multe E già ritornano le navi quarantena
di Fausto Biloslavo
M ulte alle Ong che portano migranti illegali in Italia ridotte al minimo e di fatto inapplicabili. Via libera alle navi dei talebani dell\\\'accoglienza per recuperare chi vogliono da sbarcare in Italia. Maglie di nuovo larghe sulla protezione umanitaria, che adesso si chiama speciale e sui permessi di soggiorno. Accoglienza di nuovo ampia, che farà lievitare i costi.
Dodici articoli delle nuove norme sull\\\'immigrazione e non solo hanno affossato definitivamente i decreti sicurezza dell\\\'allora ministro dell\\\'interno Matteo Salvini. Il Viminale ha ancora il potere di chiudere i porti, ma il divieto non vale per le operazioni di soccorso «immediatamente comunicate alle autorità italiane e alle autorità dello Stato di bandiera». Le navi «umanitarie» potranno continuare a imbarcare migranti partiti dalla Libia semplicemente avvisando via radio, come già fanno fra mille furbizie. Un\\\'ideona con 24.435 sbarchi quest\\\'anno, tre volte tanto il 2019 e tremila in più rispetto al 2018. Ieri sono arrivati altri 50 migranti illegali nella zona di Catanzaro.
Le multe quasi milionarie di Salvini sono sparite e rimane la foglia di fico di sanzioni ridotte al lumicino da 10mila a 50mila euro, di fatto inapplicabili alle Ong. Il paradosso è che i talebani dell\\\'accoglienza protestano lo stesso perché il decreto lascerebbe intatta la «criminalizzazione del soccorso in mare». In pratica vogliono l\\\'impunità.
Sui rimpatri degli irregolari, come i tunisini, prima nazionalità con quasi 10mila arrivi quest\\\'anno, sono stati ridotti i tempi di trattenimento da 180 a 90 giorni con la proroga di un mese se esiste un accordo con il paese di origine per rimandarli a casa. Ieri ha sollevato proteste la notizia dell\\\'imminente arrivo a Bari della nave quarantena Rapsody da Lampedusa con molti tunisini, che in teoria dovrebbero tornare in patria.
Il decreto «antisicurezza» allarga le maglie dell\\\'asilo con la novità della protezione speciale, che in realtà è la riedizione di quella umanitaria attaccata da Salvini. Oltre ai casi di tortura e trattamento inumano, se ti rimandano a casa, hai diritto al permesso di soggiorno «speciale», «nei casi in cui il rimpatrio determini il rischio di una violazione del diritto alla vita privata e familiare». Non si capisce bene cosa voglia dire, ma sicuramente tutti i migranti illegali faranno richiesta. Solo la protezione umanitaria vecchio stile garantiva il 25% di chi non aveva diritto all\\\'asilo come rifugiato. Nel 2019 sono stati 38mila i migranti che hanno chiesto l\\\'asilo, il 27% in meno rispetto all\\\'anno prima. Grazie alla «cura» Salvini le domande respinte erano salite al 69%. Adesso si rischia la marcia indietro.
Non solo: il decreto allarga ulteriormente la casistica dei permessi si soggiorno convertibili per lavoro «per calamità, per residenza elettiva, per acquisto della cittadinanza o dello stato di apolide, per attività sportiva, per lavoro di tipo artistico, per motivi religiosi e per assistenza minori».
Il terzo passo indietro riguarda il «sistema di accoglienza e integrazion» che succede a quello deciso dal precedente governo Conte. Si punta ad una specie di riedizione dell\\\'accoglienza diffusa osteggiata dai governatori di centrodestra. Gli enti locali potranno accogliere non solo i rifugiati, ma anche chi gode delle altre forme di protezione «nei limiti dei posti disponibili» fornendo una serie di servizi, che non costano poco.
Salvini era riuscito a fare risparmiare almeno 150 milioni di euro l\\\'anno e aveva ridotto a un minimo di 19 euro al giorno lo stanziamento per ogni migrante dai 35 iniziali. Le gare sono andate deserte e una circolare del Viminale di febbraio ha rialzato l\\\'importo a 22-23 euro per permettere il business dell\\\'accoglienza. Il nuovo decreto però non basta ai pasdaran filo migranti come Giuliano Pisapia, che ha dichiarato: «È un passo importante in un percorso che deve portare presto anche all\\\'introduzione dello Ius Culturae, perché i ragazzi figli di immigrati che vivono e studiano in Italia abbiano pieni diritti di cittadinanza».
Il decreto prevede anche un inasprimento del «Daspo urbano», che sta sollevando polemiche, con pene più severe per le risse in strada sulla scia del pestaggio mortale di Colleferro che ha provocato la morte di Willy Duarte Montero.

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05 aprile 2020 | Tg5 | reportage
Virus, il fronte che resiste in Friuli-Venezia Giulia
Fausto Biloslavo TRIESTE - “Anche noi abbiamo paura. E’ un momento difficile per tutti, ma dobbiamo fare il nostro dovere con la maggiore dedizione possibile” spiega Demis Pizzolitto, veterano delle ambulanze del 118 nel capoluogo giuliano lanciate nella “guerra” contro il virus maledetto. La battaglia quotidiana inizia con la vestizione: tuta bianca, doppi guanti, visiera e mascherina per difendersi dal contagio. Il veterano è in coppia con Fabio Tripodi, una “recluta” arrivata da poco, ma subito spedita al fronte. Le due tute bianche si lanciano nella mischia armati di barella per i pazienti Covid. “Mi è rimasta impressa una signora anziana, positiva al virus, che abbiamo trasportato di notte - racconta l’infermiere Pizzolitto - In ambulanza mi ha raccontato del marito invalido rimasto a casa. E soffriva all’idea di averlo lasciato solo con la paura che nessuno si sarebbe occupato di lui”. Bardati come due marziani spariscono nell’ospedale Maggiore di Trieste, dove sono ricoverati un centinaio di positivi, per trasferire un infetto che ha bisogno di maggiori cure. Quando tornano caricano dietro la barella e si chiudono dentro l’ambulanza con il paziente semi incosciente. Si vede solo il volto scavato che spunta dalle lenzuola bianche. Poi via a sirene spiegate verso l’ospedale di Cattinara, dove la terapia intensiva è l’ultima trincea per fermare il virus. Il Friuli-Venezia Giulia è il fronte del Nord Est che resiste al virus grazie a restrizioni draconiane, anche se negli ultimi giorni la gente comincia ad uscire troppo di casa. Un decimo della popolazione rispetto alla Lombardia ha aiutato a evitare l’inferno di Bergamo e Brescia. Il 4 aprile i contagiati erano 1986, i decessi 145, le guarigioni 220 e 1103 persone si trovano in isolamento a casa. Anche in Friuli-Venezia Giulia, come in gran parte d’Italia, le protezioni individuali per chi combatte il virus non bastano mai. “Siamo messi molto male. Le stiamo centellinando. Più che con le mascherine abbiamo avuto grandi difficoltà con visiere, occhiali e tute” ammette Antonio Poggiana, direttore generale dell’Azienda sanitaria di Trieste e Gorizia. Negli ultimi giorni sono arrivate nuove forniture, ma l’emergenza riguarda anche le residenze per anziani, flagellate dal virus. “Sono “bombe” virali innescate - spiega Alberto Peratoner responsabile del 118 - Muoiono molti più anziani di quelli certificati, anche 4-5 al giorno, ma non vengono fatti i tamponi”. Nell’ospedale di Cattinara “la terapia intensiva è la prima linea di risposta contro il virus, il nemico invisibile che stiamo combattendo ogni giorno” spiega Umberto Lucangelo, direttore del dipartimento di emergenza. Borse sotto gli occhi vive in ospedale e da separato in casa con la moglie per evitare qualsiasi rischio. Nella trincea sanitaria l’emergenza si tocca con mano. Barbara si prepara con la tuta anti contagio che la copre dalla testa ai piedi. Un’altra infermiera chiude tutti i possibili spiragli delle cerniere con larghe strisce di cerotto, come nei film. Simile ad un “palombaro” le scrivono sulla schiena il nome e l’orario di ingresso con un pennarello nero. Poi Barbara procede in un’anticamera con una porta a vetri. E quando è completamente isolata allarga le braccia e si apre l’ingresso del campo di battaglia. Ventuno pazienti intubati lottano contro la morte grazie agli angeli in tuta bianca che non li mollano un secondo, giorno e notte. L’anziano con la chioma argento sembra solo addormentato se non fosse per l’infinità di cannule infilate nel corpo, sensori e macchinari che pulsano attorno. Una signora è coperta da un telo blu e come tutti i pazienti critici ripresa dalle telecamere a circuito chiuso. Mara, occhioni neri, visiera e mascherina spunta da dietro la vetrata protettiva con uno sguardo di speranza. All’interfono racconta l’emozione “del primo ragazzo che sono riuscito a svegliare. Quando mi ha visto ha alzato entrambi i pollici in segno di ok”. E se qualcuno non ce la fa Mara spiega “che siamo preparati ad accompagnare le persone verso la morte nella maniera più dignitosa. Io le tengo per mano per non lasciarle sole fino all’ultimo momento”. Erica Venier, la capo turno, vuole ringraziare “con tutto il cuore” i triestini che ogni giorno fanno arrivare dolci, frutta, generi di conforto ai combattenti della terapia intensiva. Graziano Di Gregorio, infermiere del turno mattutino, è un veterano: “Dopo 22 anni di esperienza non avrei mai pensato di trovarmi in una trincea del genere”. Il fiore all’occhiello della rianimazione di Cattinara è di non aver perso un solo paziente, ma Di Gregorio racconta: “Infermieri di altre terapie intensive hanno dovuto dare l’estrema unzione perchè i pazienti sono soli e non si può fare diversamente”. L’azienda sanitaria sta acquistando una trentina di tablet per cercare di mantenere un contatto con i familiari e permettere l’estremo saluto. Prima di venire intubati, l’ultima spiaggia, i contagiati che hanno difficoltà a respirare sono aiutati con maschere o caschi in un altro reparto. Il direttore, Marco Confalonieri, racconta: “Mio nonno era un ragazzo del ’99, che ha combattuto sul Piave durante il primo conflitto mondiale. Ho lanciato nella mischia 13 giovani appena assunti. Sono i ragazzi del ’99 di questa guerra”.

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29 dicembre 2010 | | reportage
Gli occhi della guerra a Trieste
Dopo aver portato la mostra su 25 anni di reportage di guerra in tutta Italia, finalmente il 29 dicembre è stata inaugurata a Trieste, presso la sala espositiva della Parrocchia di Santa Maria Maggiore, via del Collegio 6. Gli occhi della guerra sono dedicati ad Almerigo Grilz e a tutti i giornalisti caduti sul fronte dell'informazione. La mostra rimarrà aperta al pubblico dal 10 al 20 gennaio. L'evento è stato organizzato dal Circolo universitario Hobbit con la sponsorizzazione della Regione.

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24 novembre 2015 | Rai 1 Storie vere | reportage
Terrorismo in Europa
Dopo gli attacchi di Parigi cosa dobbiamo fare per estirpare la minaccia in Siria, Iraq e a casa nostra

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27 gennaio 2020 | Radio 1 Italia sotto inchiesta | intervento
Italia
Esercito e siti ebraici
Fausto Biloslavo I nostri soldati rispettano la giornata della Memoria dell’Olocausto non solo il 27 gennaio, ma tutto l’anno. L’esercito, con l’operazione Strade sicure, schiera 24 ore al giorno ben 700 uomini in difesa di 58 siti ebraici sul territorio nazionale. Tutti obiettivi sensibili per possibile attentati oppure oltraggi anti semiti. “Per ora non è mai accaduto nulla anche grazie alla presenza dei militari, che serve da deterrenza e non solo. Il senso di sicurezza ha evitato episodi di odio e minacce ripetute come in Francia, che rischiano di provocare un esodo della comunità ebraica” spiega una fonte militare de il Giornale. I soldati, che si sono fatti le ossa all’estero, sorvegliano, quasi sempre con presidi fissi, 32 sinagoghe o tempi ebraici, 9 scuole, 4 musei e altri 13 siti distribuiti in tutta Italia, ma soprattutto al nord e al centro. La città con il più alto numero di obiettivi sensibili, il 41%, è Milano. Non a caso il comandante del raggruppamento di Strade sicure, come in altre città, è ufficialmente invitato alle celebrazioni del 27 gennaio, giorno della Memoria. Lo scorso anno, in occasione dell’anniversario della nascita dello Stato di Israele, il rappresentante della comunità ebraica di Livorno, Vittorio Mosseri, ha consegnato una targa al comandante dei paracadustisti. “Alla brigata Folgore con stima e gratitudine per il servizio di sicurezza prestato nell’ambito dell’operazione Strade sicure contribuendo con attenzione e professionalità al sereno svolgimento delle attività della nostro comunità” il testo inciso sulla targa. In questi tempi di spauracchi anti semiti l’esercito difende i siti ebraici in Italia con un numero di uomini praticamente equivalente a quello dispiegato in Afghanistan nel fortino di Herat. Grazie ad un’esperienza acquisita all’estero nella protezione delle minoranze religiose, come l’antico monastero serbo ortodosso di Decani in Kosovo. “In ogni città dove è presente la comunità ebraica esiste un responsabile della sicurezza, un professionista che collabora con le forze dell’ordine ed i militari per coordinare al meglio la vigilanza” spiega la fonte del Giornale. Una specie di “assessore” alla sicurezza, che organizza anche il sistema di sorveglianza elettronica con telecamere e sistemi anti intrusione di avanguardia su ogni sito. Non solo: se in zona appare un simbolo o una scritta anti semita, soprattuto in arabo, viene subito segnalata, fotografata, analizzata e tradotta. “I livelli di allerta talvolta si innalzano in base alla situazione internazionale” osserva la fonte militare. L’ultimo allarme ha riguardato i venti di guerra fra Iran e Stati Uniti in seguito all’eliminazione del generale Qassem Soleimani. Roma è la seconda città per siti ebraici presidiati dai militari compresi asili, scuole e oratori. Le sinagoghe sono sorvegliate pure a Napoli, Verona, Trieste e quando necessario vengono disposte le barriere di cemento per evitare attacchi con mezzi minati o utilizzati come arieti. A Venezia i soldati garantiscono la sicurezza dello storico ghetto. A Livorno e in altre città sono controllati anche i cimiteri ebraici. Una residenza per anziani legata alla comunità è pure nella lista dei siti protetti a Milano. Ed i militari di Strade sicure nel capoluogo lombardo non perdono d’occhio il memoriale della Shoah, lo sterminio degli ebrei voluto da Hitler.

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