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Articolo
11 gennaio 2021 - Sito - Italia - Il giornale.it |
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| Lo schiaffo a chi ci aiutò in guerra: "Perché non ci accogliete?" |
\"Gli interpreti afghani che vogliono venire in Italia devono pensarci bene. Con la mia famiglia siamo stati fra i primi nel 2015 ad ottenere protezione nel vostro Paese. All\'arrivo eravamo tutti euforici, ma poi siamo stati abbandonati\", racconta Farid Kazemi al Giornale.it. Oggi si è rifatto, da solo, una vita a Savona, ma cinque anni fa ha dovuto lasciare l\'Afghanistan per le minacce dei talebani. Farid lavorava come interprete a radio Bayan ad Herat, messa in piedi dal continente italiano per conquistare i cuori e le menti degli afghani. Suo padre, Abdul Qadir, era anche lui un intreprete ed è rimasto ferito assieme a quattro italiani di un convoglio saltato in aria su una trappola esplosiva. La Difesa si è sempre vantata di avere salvato 117 interpreti e collaboratori afghani portandoli in Italia con i loro familiari per un totale di 420 persone. L’altra faccia della medaglia è che \"siamo stati abbandonati e l\'80% ci quelli che sono arrivati hanno dovuto scappare all’estero nella speranza di una vita dignitosa\", denuncia Farid. Il giovane padre di famiglia afghano ha scritto un commento su Facebook agli articoli del Giornale.it sugli interpreti che oggi temono di venir lasciati nelle grinfie dei talebani dagli italiani in ritirata. \"Dopo il nostro arrivo in Italia sono iniziate le difficoltà. Tanti sono rimasti senza lavoro e un supporto per sopravvivere. Gli interpreti che vogliono venire ci pensino bene prima di partire\", ha scritto l’afghano che vive a Savona. Farid è sbarcato nel nostro paese il 18 febbraio 2015, grazie al piano di protezione che gli ha garantito l’asilo politico. \"Con me ho portato la moglie e due figli. È venuto anche mio padre che lavorava come interprete al Prt (impegnato nei progetti di ricostruzione del paese, Nda) italiano di Herat\", spiega Farid. Gli afghani \"erano tutti felici\" e sono stati inseriti nello Sprar, il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati. \"Dopo meno di un anno gli operatori ci dicevano che lo Sprar avrebbe chiuso i battenti. Dovevamo arrangiarci trovando un lavoro per sostenere la famiglia. Non era affatto facile\", racconta l’ex intreprete. L’aspetto incredibile, che la Difesa ha sempre omesso di raccontare, è che il governo non aveva previsto alcun utilizzo degli interpreti, come in Afghanistan, nelle strutture dello Stato. Nonostante ci fosse bisogno di traduttori fidati, anche solo per la massa di migranti che arrivava dalla rotta balcanica compresi afghani e pachistani. \"Qualcuno è riuscito ad ottenere dei contratti a chiamata dalle questure, dai carabinieri o dai tribunali, ma sempre in maniera saltuaria - spiega Farid - Pure io ero iscritto come intreprete al tribunale di Savona. Non mi hanno mai fatto lavorare”. A suo padre, rimasto ferito nel 2006 saltando in aria con un convoglio italiano, è andata pure peggio. “Finito il periodo di accoglienza dello Sprar gli operatori gli hanno intimato di consegnare le chiavi di casa, dove viveva con la famiglia e di andarsene perchè doveva “far spazio ad altri migranti”. Altrimenti avrebbero chiamato i carabinieri” rivela l’afghano. Abdul Qadir, dopo aver servito per anni i soldati italiani in Afghanistan, si è sentito tradito e ha lasciato il paese andando in Francia in cerca di una vita migliore. “Nonostante l’asilo politico non ci hanno aiutato a trovare lavoro - spiega l’ex interprete - Sono stato fortunato perchè ho frequentato un corso per magazziniere a Genova trovando lavoro in un supermercato Conad”. Farid ha aperto una partita Iva da tre anni lavorando sempre nel ramo grande distribuzione: “Così riesco a sostenere la famiglia senza bisogno di chiedere aiuto”. L’80% delle 35 famiglie giunte con la prima ondata di interpreti nel 2015 sono scappate dall’Italia. \"Un altro traduttore ferito con gli italiani a Bala Murghab è andato in Germania. Qualcuno ha ottenuto il visto per gli Stati Uniti e altri sono in Francia o Belgio\", spiega il magazziniere. Nel sistema Sprar al Sud invitavano chiaramente gli afghani ad andarsene all’estero, anche se avevano rischiato la pelle per il nostro paese. In Italia è rimasto solo il 20% degli ex interpreti fra mille difficoltà: “Uno degli afghani che era la fianco dei vostri soldati vive con gli aiuti della Caritas - denuncia Farid - Alla fine siamo stati abbandonati al nostro destino\". Un destino che rischia di essere ancora peggiore per chi è rimasto lì. In un audio inviato al Giornale.it, che abbiamo dovuto modificare per rendere irriconoscibile la voce, un interprete racconta: \"Signori, buongiorno. Io sono un interprete della Task force arena (la base italiana ad Herat, Ndr). Abbiamo lavorato per più di dieci anni. Abbiamo lavorato per più di dieci anni con gli italiani e sono stati la nostra famiglia. Ma dopo che la missione è finita, ci lasciano sotto il fuoco. Ora se ne vanno. Secondo voi è normale? Per favore, aiutateci. Chiedete a qualcuno al parlamento o al ministero della Difesa di aiutarci. Non lasciateci sotto il fuoco (dei talebani, Nda). Un\'altra cosa che mi fa preoccupare: perché gli italiani, i tedeschi, gli ungheresi accettano i migranti dall\'Iraq e dalla Siria e ci lasciano sotto il fuoco? Noi rimaniamo qui, sotto il fuoco. Da quando ci hanno abbandonato non dormiamo, non dormiamo. Come facciamo? Siamo tutti amici perché abbiamo lavorato per voi e abbiamo pensato che eravate la nostra famiglia. Ora ci lasciate sotto il fuoco. Aiutateci. Grazie\". |
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31 ottobre 2021 | Quarta repubblica | reportage
No vax scontri al porto
I primi lacrimogeni rimbalzano sull'asfalto e arditi No Pass cercano di ributtarli verso il cordone dei carabinieri che sta avanzando per sgomberare il varco numero 4 del porto di Trieste. I manifestanti urlano di tutto «merde, vergogna» cercando pietre e bottiglie da lanciare contro le forze dell'ordine. Un attivista ingaggia lo scontro impossibile e viene travolto dalle manganellate. Una volta crollato a terra lo trascinano via oltre il loro cordone. Scene da battaglia urbana, il capoluogo giuliano non le vedeva da decenni.
Portuali e No Pass presidiavano da venerdì l'ingresso più importante dello scalo per protestare contro l'introduzione obbligatoria del lasciapassare verde. In realtà i portuali, dopo varie spaccature, sono solo una trentina. Gli altri, che arriveranno fino a 1.500, sono antagonisti e anarchici, che vogliono la linea dura, molta gente venuta da fuori, più estremisti di destra.
Alle 9 arrivano in massa le forze dell'ordine con camion-idranti e schiere di agenti in tenuta antisommossa. Una colonna blu che arriva da dentro il porto fino alla sbarra dell'ingresso. «Lo scalo è porto franco. Non potevano farlo. È una violazione del trattato pace (dello scorso secolo, nda)» tuona Stefano Puzzer detto Ciccio, il capopopolo dei portuali. Armati di pettorina gialla sono loro che si schierano in prima linea seduti a terra davanti ai cordoni di polizia. La resistenza è passiva e gli agenti usano gli idranti per cercare di far sloggiare la fila di portuali. Uno di loro viene preso in pieno da un getto d'acqua e cade a terra battendo la testa. Gli altri lo portano via a braccia. Un gruppo probabilmente buddista prega per evitare lo sgombero. Una signora si avvicina a mani giunte ai poliziotti implorando di retrocedere, ma altri sono più aggressivi e partono valanghe di insulti.
Gli agenti avanzano al passo, metro dopo metro. I portuali fanno da cuscinetto per tentare di evitare incidenti più gravi convincendo la massa dei No Pass, che nulla hanno a che fare con lo scalo giuliano, di indietreggiare con calma. Una donna alza le mani cercando di fermare i poliziotti, altri fanno muro e la tensione sale alimentata dal getto degli idranti. «Guardateci siamo fascisti?» urla un militante ai poliziotti. Il nocciolo duro dell'estrema sinistra seguito da gran parte della piazza non vuole andarsene dal porto. Quando la trattativa con il capo della Digos fallisce la situazione degenera in scontro aperto. Diego, un cuoco No Pass, denuncia: «Hanno preso un mio amico, Vittorio, per i capelli, assestandogli una manganellata in faccia». Le forze dell'ordine sgomberano il valico, ma sul grande viale a ridosso scoppia la guerriglia. «Era gente pacifica che non ha alzato un dito - sbotta Puzzer - È un attacco squadrista». I più giovani sono scatenati e spostano i cassonetti dell'immondizia per bloccare la strada scatenando altre cariche degli agenti.
Donne per nulla intimorite urlano «vergognatevi» ai carabinieri, che rimangono impassibili. In rete cominciano a venire pubblicati post terribili rivolti agli agenti: «Avete i giorni contati. Se sai dove vivono questi poliziotti vai a ucciderli».Non a caso interviene anche il presidente Sergio Mattarella: «Sorprende e addolora che proprio adesso, in cui vediamo una ripresa incoraggiante esplodano fenomeni di aggressiva contestazione». Uno dei portuali ammette: "Avevamo detto ai No Pass di indietreggiare quando le forze dell'ordine avanzavano ma non ci hanno ascoltati. Così la manifestazione pacifica è stata rovinata».
Puzzer raduna le «truppe» e i rinforzi, 3mila persone, in piazza Unità d'Italia. E prende le distanze dagli oltranzisti: «Ci sono gruppi che non c'entrano con noi al porto che si stanno scontrando con le forze dell'ordine». Non è finita, oltre 100 irriducibili si scatenano nel quartiere di San Vito. E riescono a bloccare decine di camion diretti allo scalo con cassonetti dati alle fiamme in mezzo alla strada. Molti sono vestiti di nero con il volto coperto simili ai black bloc. La battaglia sul fronte del porto continua fino a sera.
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04 luglio 2012 | Telefriuli | reportage
Conosciamoci
Giornalismo di guerra e altro.
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29 dicembre 2010 | | reportage
Gli occhi della guerra a Trieste
Dopo aver portato la mostra su 25 anni di reportage di guerra in tutta Italia, finalmente il 29 dicembre è stata inaugurata a Trieste, presso la sala espositiva della Parrocchia di Santa Maria Maggiore, via del Collegio 6. Gli occhi della guerra sono dedicati ad Almerigo Grilz e a tutti i giornalisti caduti sul fronte dell'informazione. La mostra rimarrà aperta al pubblico dal 10 al 20 gennaio. L'evento è stato organizzato dal Circolo universitario Hobbit con la sponsorizzazione della Regione.
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06 settembre 2018 | Radio immaginaria | intervento |
Italia
Teen Parade
Gli adolescenti mi intervistano sulla passione per i reportage di guerra
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20 giugno 2017 | WDR | intervento |
Italia
Più cittadini italiani con lo ius soli
Estendere la cittadinanza italiana ai bambini figli di stranieri? È la proposta di legge in discussione in Senato in questi giorni. Abbiamo sentito favorevoli e contrari.
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03 gennaio 2011 | Radio Capodistria - Storie di bipedi | intervento |
Italia
Gli occhi della guerra
Le orbite rossastre di un bambino soldato, lo sguardo terrorizzato di un prigioniero che attende il plotone di esecuzione, l’ultimo rigagnolo di vita nelle pupille di un ferito sono gli occhi della guerra incrociati in tanti reportage di prima linea.
Dopo l’esposizione in una dozzina di città la mostra fotografica “Gli occhi della guerra” è stata inaugurata a Trieste. Una collezione di immagini forti scattate in 25 anni di reportage da Fausto Biloslavo, Gian Micalessin e Almerigo Grilz, ucciso il 19 maggio 1987 in Mozambico, mentre filmava uno scontro a fuoco. La mostra, che rimarrà aperta al pubblico fino al 20 gennaio, è organizzata dall’associazione Hobbit e finanziata dalla regione Friuli-Venezia Giulia. L’esposizione è dedicata a Grilz e a tutti i giornalisti caduti in prima linea. Il prossimo marzo verrà ospitata a Bruxelles presso il parlamento europeo.Della storia dell'Albatross press agency,della mostra e del libro fotografico Gli occhi della guerra ne parlo a Radio Capodistria con Andro Merkù.
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03 giugno 2019 | Radio Scarp | intervento |
Italia
Professione Reporter di Guerra
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24 maggio 2010 | Radio Padania Libera | intervento |
Italia
Proselitismo islamico dietro le sbarre
“Penso che sia giusto se alcuni musulmani combattono la guerra santa contro gli americani in paesi che non sono la loro terra”. Dopo un lungo girarci attorno Kamel Adid sorprende un po’ tutti, quando sputa il rospo. La domanda riguardava i mujaheddin, i musulmani pronti a morire per Allah, contro l’invasore infedele. Tre soldati della guerra santa, arrivati un paio di mesi fa da Guantanamo, sono rinchiusi poco più in là, nel reparto di massima sicurezza del carcere di Opera, alle porte di Milano.
Adid è un giovane marocchino di 31 anni con barbetta islamica d’ordinanza e tunica color noce. Nel carcere modello di Opera fa l’imam dei 44 musulmani detenuti, che frequentano una grande sala adibita a moschea. Un predicatore fai da te, che di solito parla un linguaggio moderato e ti guarda con occhioni apparentemente timidi.
Deve scontare ancora due mesi di pena per un reato legato alla droga e da pochi giorni è stato trasferito in un altro istituto. “Quelli che si fanno saltare in aria subiscono il lavaggio del cervello – si affretta a spiegare l’autonominato imam – Noi abbiamo riscoperto la fede in carcere. Pregare ci da conforto, ci aiuta ad avere speranza”.
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