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28 agosto 2021 - Il fatto - Afghanistan - Il Giornale
Il patto di sangue tra talebani e Isis
Sequenze d\\\'altri tempi con i mujaheddin a cavallo che sventolano gli stendardi neri del Califfato. E il barbuto emiro Hafez Said Khan, con qualche chilo di troppo, che giura assieme ai tagliagole fedeltà allo Stato islamico in nome della provincia del Khorasan, l\\\'Afghanistan allargato a un pezzo di Pakistan, Iran e repubbliche sovietiche dell\\\'Asia centrale. Il video era emerso dalla macerie della battaglia di Sirte, la «capitale» libica dell\\\'Isis e faceva parte di un archivio di immagini inedite del centro di comunicazione e propaganda alle porte della città. Said Khan è stato incenerito da un attacco mirato Usa dal cielo nell\\\'agosto del 2016 nella provincia orientale di Nangarhar roccaforte della costola afgana dell\\\'Isis. Il primo emiro ed i suoi successori sono nati e cresciuti all\\\'interno del mondo talebano fra Pakistan e Afghanistan per poi staccarsi in una logica di potere del terrore.
Il kamikaze all\\\'aeroporto di Kabul e la cellula che ha appoggiato il piano della strage difficilmente avrebbero potuto colpire senza che i nuovi padroni dell\\\'Afghanistan chiudessero un occhio o tutti e due. Ufficialmente Isis e talebani si odiano e fronteggiano, ma il terribile attacco fa il gioco dell\\\'Emirato islamico, che punta ad un ritiro certo e definitivo di tutte le truppe occidentali dall\\\'aeroporto di Kabul il 31 agosto, come il presidente americano aveva annunciato prima della Caporetto afghana. «Ogni prova a nostra disposizione dimostra che le cellule dell\\\'Isis-K sono radicate nei talebani e nella rete Haqqani. In modo particolare quelle che operano a Kabul» ha rivelato Amrullah Saleh, il vice presidente dell\\\'Afghanistan arroccato nella valle del Panjshir. Prima di venire eletto era il capo dell\\\'Nds, i servizi segreti afghani. Alcuni quartieri della capitale sono infiltrati da cellule dell\\\'Isis da almeno due anni. Il capo della rete Haqqani, specializzata in attacchi suicidi, è Siraj figlio del fondatore che aveva combattuto contro i sovietici ed era stato ministro nel primo Emirato fino all\\\'11 settembre. Dal 2015 Siraj Haqqani è stato nominato vice emiro dei talebani.
«Se negano legami con l\\\'Isis sono come il Pakistan che nega di avere rapporti con la shura di Quetta (il consiglio decisionale dei Talebani nda). I talebani hanno imparato molto bene dal maestro», ha aggiunto Saleh in un tweet. L\\\'Isis afghano contava su 4mila uomini, ma pesanti bombardamenti degli americani e operazioni dei corpi speciali avrebbero quasi dimezzato le forze del Califfato. Almeno così credeva l\\\'intelligence Usa. In realtà un rapporto dell\\\'Onu di giugno segnalava che 8mila-10mila volontari jihadisti dell\\\'Asia centrale, Caucaso, Pakistan e della regione musulmana cinese dello Xinjiang avevano raggiunto l\\\'Afghanistan per dare man forte all\\\'avanzata talebana. In parte avrebbero aderito all\\\'Isis e Al Qaida.
La costola del Califfato è un miscuglio di combattenti locali, pachistani, uzbeki, ma anche veterani della sconfitta in Siria e Iraq riparati in Afghanistan. Oltre a questa manovalanza il portavoce del Pentagono, John Kirby, ha ammesso che «chiaramente ci sono migliaia» di prigionieri dell\\\'Isis-K che sono stati rilasciati a causa del ritiro delle truppe Usa. L\\\'uccisione nella sua cella nei primi giorni dell\\\'Emirato di Abu Omar Khorasani, pezzo grosso del Califfato afghano, è solo un segnale al gruppo terroristico che comandano i talebani. Lo stesso fondatore dello Stato islamico in Afghanistan aveva aderito al movimento talebano prima di arruolarsi nella loro copia in Pakistan. Anche il suo successore Abdul Logari ucciso in un\\\'operazione congiunta dei reparti speciali afghani e americani nel 2017 aveva fatto parte per anni dei talebani. E il misterioso Shahab al-Muhajir, l\\\'attuale capo, sarebbe stato un comandante della rete Haqqani prima di disertare per le bandiere nere.
[continua]

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20 maggio 2007 | Terra! | reportage
I due che non tornarono
Due “fantasmi” resteranno legati per sempre alla brutta storia del sequestro e della liberazione di Daniele Mastrogiacomo. I fantasmi degli ostaggi afghani, gli ostaggi di serie B, il cui sangue pesa meno di quello di un giornalista italiano, come ci hanno detto fra le lacrime i loro familiari ed in tanti a Kabul (…) Gente comune, interpreti ed autisti del circo mediatico che ha invaso per qualche settimana l’Afghanistan e si è dissolto quando il giornalista di Repubblica è tornato a casa sano e salvo. I due fantasmi di questa brutta storia si chiamano Sayed Agha e Adjmal Naskhbandi, i compagni di sventura afghani di Mastrogiacomo che non sono più tornati a casa. I tagliagole talebani non hanno avuto un briciolo di pietà a tagliare loro la testa in nome del Jihad, la guerra santa. (…) Non si capisce cosa aveva da esultare il giornalista italiano, il 20 marzo, quando è sceso dalla scaletta dell’aereo che lo aveva riportato in patria, alzando le braccia al cielo come se avesse vinto un incontro di pugilato all’ultimo round. Alle spalle, sul campo di battaglia, aveva lasciato sia i vivi che i morti: Sayed il suo autista decapitato quattro giorni prima e Adjmal l’interprete rimasto vivo, ma ancora nelle grinfie dei talebani. (…) Purtroppo con il destino già segnato di una condanna a morte che servirà solo a seminare ulteriore zizzania politica in Italia ed in Afghanistan. Fin dal 5 marzo, quando sono stati inghiottiti in tre nella palude talebana della provincia di Helmand, i riflettori erano puntati solo sull’ostaggio eccellente, Daniele Mastrogiacomo. (…) Una prassi nei casi di sequestro dove chi ha il tuo stesso passaporto vale di più dei disgraziati locali che si trascina dietro. Loro se la cavano, si pensa spesso, ma in questo caso non è stato così. Il miraggio di guadagnare un pugno di dollari accompagnando un giornalista straniero a caccia dello scoop l’hanno pagato con la vita. Sayed aveva 25 anni e quattro figli, di cui il più grande Atifah ha solo sei anni. L’ultimo, il quinto che la moglie rischiava di perdere quando ha saputo del sequestro del marito, è nato un giorno prima del funerale del padre. Sayed faceva l’autista e pensava che non fosse tanto rischioso portare in giro Mastrogiacomo in una zona che conosceva come le sue tasche, perché c’era nato e ci viveva. Invece non aveva fatto i conti giusti con i talebani che per vecchie ruggini familiari e con l’accusa di spionaggio l’hanno processato secondo la legge islamica e condannato a morte. (…) Il 16 marzo i tagliagole hanno detto ai tre ostaggi che andavano a fare un giro, ma Sayed doveva sentire che era arrivata la sua ultima ora. Quando l’hanno fatto inginocchiare, a fianco di Mastrogiacomo, nella sabbia, in tunica bianca e con una benda rossa sugli occhi, non si agitava, sembrava rassegnato. Il giudice islamico ha letto una sbrigativa sentenza in nome di Allah ed il boia al suo fianco ha buttato il poveretto nella polvere, di traverso, per decapitarlo meglio. Nella mano destra del boia è apparso un coltellaccio ricurvo per segargli il collo. Sul corpo inanimato della vittima, come se fosse un burattino sena fili i tagliagole solitamente appoggiano la testa e si fanno riprendere soddisfatti. Ci sono voluti 11 giorni ai familiari per recuperare la salma, senza testa, perché nessuno gli ha dato una mano. (…) “Tutto il mondo ci ha dimenticato e si è occupato solo del rilascio del giornalista italiano in cambio di cinque criminali. Sayed e Adjmal lavoravano con lo straniero. Lui è stato liberato e per gli afgani cosa si è fatto?” ci ha detto amaramente Mohammed Dawood il fratello dell’autista ucciso. Adjmal aveva 23 anni e si era sposato da poco. Faceva il giornalista, non solo l’interprete e nelle zone talebane c’era già stato. Non abbastanza per salvarsi la pelle ed evitare di finire in una trappola assieme all’inviato di Repubblica. Con Mastrogiacomo ha diviso le catene ed i dolori del sequestro. (…) Nello scambio con cinque prigionieri talebani detenuti nelle carceri afghane era previsto sia Mastrogiacomo che Adjmal. A tutti e due il capobastone dei tagliagole che li tenevano prigionieri aveva detto “siete liberi”. Invece qualcosa è andato storto e Adjmal non è più tornato a casa. Quando la sua anziana madre ha capito che era ancora ostaggio dei talebani ha avuto un infarto. (…) Per non turbare il successo a metà della liberazione di Mastrogiacomo la grancassa di Repubblica aveva annunciato anche la liberazione di Adjmal e gran parte dei media hanno abboccato all’amo, ma non era vero. Qualche giorno dopo, quando Adjmal mancava tristemente all’appello, sempre Repubblica ha cercato di accreditare la teoria che era stata la sicurezza afghana a farlo sparire per interrogarlo. Anche questa volta non era così. (…) I talebani volevano sfruttare ancora un po’ il povero interprete per tenere sulla graticola il governo di Kabul e quello di Roma, che a parole ha chiesto la liberazione di tutti, ma nei fatti si è portato a casa solo il giornalista italiano. “Sono felice per la liberazione di Daniele, perché la vita di un uomo è stata salvata da un pericolo mortale. Allo stesso tempo sono arrabbiato, perché non ci si è occupati con la stessa attenzione di mio fratello” ci diceva Munir Naskhbandi assieme ad amici e cugini quando il giovane interprete era ancora vivo. Tutti, però, sapevano che il governo del presidente afghano Hamid Karzai non avrebbe più liberato un solo talebano in cambio dell’ostaggio. Per non lasciarsi testimoni afgani alle spalle a dare un’ultima scossa i tagliagole hanno condannato a morte anche Adjmal. La decapitazione di rito è avvenuto un giorno qualsiasi per loro, ma ancora più amaro per noi, la domenica di Pasqua e resurrezione. Attorno ai fantasmi e all’unico sopravissuto di questa storia non mancano le zone d’ombra, che prima o poi andranno chiarite. Rahmattulah Hanefi, l’uomo di fiducia di Emergency, che ha fatto da mediatore è stato arrestato dai servizi segreti afghani il giorno dopo la liberazione di Mastrogiacomo. (…) Il fratello di Sayed Agha, l’autista decapitato, aveva puntato subito il dito contro di lui. Amrullah Saleh il capo dei servizi di Kabul è ancora più duro e dice: “Abbiamo le prove che Hanefi è un facilitatore dei talebani, se non addirittura un loro militante travestito da operatore umanitario”. (…) L’uomo di Emergency avrebbe fatto cadere in una trappola Mastrogiacomo, sarebbe stato una quinta colonna dei tagliagole e avrebbe abbandonato Adjmal al suo destino. Le prove, però, non si vedono e fino a quando non verranno rese note non sapremo se si tratta di una ritorsione contro Emergency troppo blanda con i talebani, oppure un’innominabile verità che schizzerebbe fango su tutti, compreso il governo italiano. Un’altra ombra di questa vicenda è il canale parallelo di mediazione ingaggiato da Repubblica fin dalle prime ore del sequestro. Uno strano free lance italo inglese, Claudio Franco e la sua spalla afgana, hanno mediato per la liberazione. (…) Gino Strada, fondatore di Emergency, sente puzza di servizi segreti e non vuole averne a che fare. La strana coppia rispunta nell’area riservata dell’aeroporto militare di Kabul, quando arriva Mastrogiacomo appena liberato ed in viaggio verso l’Italia. Qualcuno della Nato li ha appena “estratti” dal sud dell’Afghanistan. Franco scatta foto esclusive di Mastrogiacomo mentre sale sul Falcon della presidenza del Consiglio, che lo riporterà a casa. Le immagini non vengono mai pubblicate e sul canale parallelo di mediazione viene steso un velo di silenzio. C‘è voluto un negoziato per avere questa fotografia di Sayed Agha con tre dei suoi cinque bambini. Nell’immagine c’era pure la moglie, ma i familiari, da buoni pasthun, non potevano farla vedere a degli stranieri (…) per di più infedeli. Alla fine hanno tagliato via la moglie e sono rimasti i bambini. Non vedranno più loro padre, morto nella provincia di Helmand, in Afghanistan, (…) per fare l’autista ad un giornalista italiano, Noi preferiamo ricordarlo così, (…) da vivo, con i suoi figli.

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25 novembre 2001 | TG5 - Canale 5 e Studio Aperto - Italia 1 | reportage
Il futuro governo dell'Afghanistan
Il futuro governo dell'Afghanistan

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13 giugno 2010 | Memoria audiovisivi | reportage
Professione Difesa
I giornalisti aggregati alle unità combattenti nei teatri più difficili, come l'Afghanistan. Un video sul giornalismo embedded realizzato da Antonello Tiracchia. E il racconto della mia storia: l'avventura dell'Albatross, la morte in prima linea di Almerigo ed i reportage di guerra.

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radio

02 novembre 2009 | SBS Radio Italian Language Programme | intervento
Afghanistan
La crisi elettorale
Dopo il boicottaggio del secondo turno di Abdulla Abdullah, il rivale tajiko del presidente pasthun Hamid Karzai

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20 agosto 2009 | Radio24 | reportage
Afghanistan
Al fronte con gli italiani/ Alle urne fra minacce talebane e presunti brogli
Si parte all’alba da base Tobruk, con i paracadutisti della Folgore, per garantire la sicurezza delle elezioni presidenziali in Afghanistan nella turbolenta provincia di Farah. Nel distretto di Bala Baluk, infestato dai talebani, sono aperti 5 seggi su 30. I parà della 6° compagnia Grifi, dislocati nei punti nevralgici, sono pronti ad intervenire per difendere le urne. Gli insorti hanno proclamato una specie di coprifuoco contro le elezioni “degli infedeli che occupano il paese”. Chi va ai seggi a queste parti rischia la pelle ancora prima di arrivarci. Con dei volantini affissi nelle moschee l’emirato talebano ha minacciato “di piazzare mine sulle strade principali”. I terroristi suicidi si sono inventati nuove tattiche come spiega prima di partire il tenente dei paracadutisti Alessandro Capone. L’elezione del nuovo presidente afghano e dei consigli provinciali nelle zone a rischio come questa di Bala Baluk è un terno al lotto. Nell'umile e polveroso villaggio di Sharak, le 40 famiglie che ci abitano avevano ricevuto solo 8 certificati elettorali. "E' passato il comandante Zabid Jalil e gli abbiamo consegnato le schede. Ha detto che ci pensa lui a scegliere il presidente. Meglio così: se i talebani le trovavano ci avrebbero ammazzato" racconta haji Nabu, il capo villaggio. Jalil è il boss della tribù e ha pure i gradi di generale della polizia. Un esempio di "democrazia" all'afghana.

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12 novembre 2001 | Radio 24 Linea 24 | reportage
Afghanistan
Il crollo dei talebani - L'avanzata su Kabul
In prima linea in Afghanistan dopo l'11 settembre. Il racconto dell'avanzata sulla capitale con le imboscate dei talebani, i bombardamenti dei B 52 ed i carri armati dei mujhaeddin che sfondano il fianco destro degli studenti guerrieri nella valle di Shomali

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04 agosto 2008 | Radio 24 | reportage
Afghanistan
Taccuino di guerra - In volo sugli elicotteri dei marines
Afghanistan, un'estate in trincea. In prima linea con i marines

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27 maggio 2008 | Radio R101 TGcom | intervento
Afghanistan
I soldati italiani in Afghanistan potranno combattere
Il governo italiano ha annunciato il cambiamento dei caveat, gli ordini nazionali che limitano gli interventi del nostro contingente in Afghanistan. La zona a sud della cosiddetta "cintura" pasthun, il serbatoio etnico dei talebani, è la più calda. I soldati italiani potrebbero essere chiamati ad intervenire in quest'area.

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