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13 marzo 2024 - Interni - Italia - Panorama
Rabbia in divisa
"I social sono infestati da pazzi inneggianti agli scontri, alcuni parlano di “benedizione” del Presidente. ???” è il primo amaro sfogo via whatsapp di un alto funzionario di polizia dopo l’intervento del capo dello Stato, Sergio Mattarella, sugli scontri di Pisa (“Con i ragazzi i manganelli esprimono un fallimento”). E ancora: “Dicono che il presidente gli ha dato ragione e d’ora in poi potranno assaltare perchè è con loro”. Delusione, malumore e rabbia si mescolano nelle chat e nei messaggi fra i poliziotti in servizio, letti da Panorama, che si sentono criminalizzati e sotto tiro dopo l’alzata di scudi per le manganellate del 23 febbraio al corteo pro Palestina, non autorizzato, di Pisa. Ed i timori si estendono al G 7 di giugno in Puglia. “Se andiamo avanti così siamo tutti molto preoccupati per la sicurezza dell’evento, che è una grande vetrina internazionale” dichiara Stefano Paoloni, segretario generale del Sindacato autonomo di polizia (Sap), a Panorama.
Un dirigente della polizia di Stato scrive all’apice della gogna mediatica con i video delle manganellate: “Le regole valide per tutti in questi giorni sono sospese per noi: Colpevoli senza appello, un fotogramma, dei frame montati ad arte e portatori di accuse di essere di parte … mortificazioni dall’alto”. Parole amare di chi “oggi viene d’improvviso spazzato via dall’uso di una parola “manganelli” evocativa di tempi in cui si usavano davvero”.
Gli agenti criticano Mattarella per la difesa a priori degli studenti: “Caro presidente (…) in questo caso ha sbagliato (…) ha parlato come se ci fosse una deriva antidemocratica… povera patria cantava Battiato”.
Non a caso sono stati censurati, o passati in secondo piano, i video dei poliziotti di Pisa che usavano lo sfollagente sulle gambe e non sulla testa dei facinorosi. L’obiettivo del corteo era sfondare l’ esiguo cordone in via San Frediano, che aveva il compito di sbarrare l’ingresso in piazza dei Cavalieri a 600 metri dalla sinagoga. “Se una piazza è dichiarata off limits le forze dell’ordine hanno il dovere di non far accedere i  manifestanti - spiega Paoloni - I video, le riprese vanno fatte vedere dall’inizio quando per dieci minuti tiravano calci sugli scudi degli agenti e anche sotto sugli stinchi che fanno più male, oltre a pugni e sputi”.
Un veterano dei reparti mobili non ha dubbi: “A Pisa e altre manifestazioni hanno utilizzato una tattica precisa: mandare avanti i minorenni per farli manganellare e accusare i poliziotti cattivi. C’erano professionisti del disordine pubblico che usano i ragazzini come scudi umani per poi veicolare sui social le immagini dei loro volti insanguinati ripresi dai media. Era tutto orchestrato e il piano è riuscito”.
L’attenzione si focalizza sulla dozzina di poliziotti indagati che si sono autoidentificati, non avendo nulla da nascondere e non sui quattro denunciati nel corteo “professionisti del disordine con precedenti di violenze di piazza” fa notare Paoloni.  
Altri video che stanno emergendo mostrato non solo la violenza dei manifestanti, compresi i ragazzini, ma registrano pure gli insulti prima della carica di alleggerimento: “Cani, sbirro di merda, infame, arretra te” rivolti agli agenti in tenuta anti sommossa. Nei messaggi che corrono fra i poliziotti e su Facebook c’è chi parla “da poliziotto e da genitore, i posti di blocco non si sfondano”.
Magistratura democratica scende in campo al fianco di studenti e docenti che puntano il dito contro le forze dell’ordine. L’Associazione nazionale funzionari di polizia replica con un comunicato senza peli sulla lingua: “Stupisce che si esprima una valutazione anticipata rispetto alle inchieste in essere (…) basata solo sulle dichiarazioni ed i filmati diffusi in rete di una parte, senza avvertire la necessità di ascoltare l’altra parte, la polizia. (…) Dalla magistratura ci aspettiamo neutralità e distacco, indispensabili per un’equilibrata, imparziale e serena ricostruzione dei fatti, che non sia basata solo su cronache giornalistiche e dichiarazioni parziali”.
La rabbia continua a montare anche dopo Pisa: “Sono indignato, amareggiato, arrabbiato lui voleva dialogare, il collega Antonio Marotta voleva solo dialogare” è il commento di un funzionario quando il capo della Digos di Bologna viene centrato  in un occhio da un uovo pieno di vernice rossa lanciato dai manifestanti che protestano per Pisa e a favore della Palestina.
Il 23 febbraio, a Catania, davanti a 200 facinorosi che stanno assaltando un Mc Donald, la catena colpevole di distribuire pasti gratis ai soldati in Israele, un manipolo delle forze dell’ordine, senza protezioni, deve tirare giù la saracinesca per evitare il peggio. Un agente del X° rapito mobile si ritrova con un piede fratturato e 30 giorni di prognosi. “Il dr. Leone (come riferito da colleghi del reparto di Catania) ha dato ordine NO SCUDI e NO SFOLLAGENTI” è la frase indignata che gira via whatsapp.  
Il 2 marzo sono scesi in piazza a Pisa seimila persone “contro le bombe (a Gaza nda) e i manganelli” della polizia. Corteo pacifico, ma con slogan del seguente tenore: «Palestina libera», «Israele fascista» e «polizia assassina». Oltre ai liceali c’erano esponenti locali del Pd, collettivi, docenti, esponenti dei sindacati, i tifosi della curva Nord e un paio di ex brigatisti. Uno si chiama Luigi Fuccini arrestato nel 2004 per associazione sovversiva e banda armata. Ex compagno di Nadia Desdemona Lioce, una dei capi delle nuove Brigate rosse che ha ucciso il sovrintendente della Polfer Emanuele Petri prima dell’arresto a bordo di un treno.
Il lungo messaggio-sfogo di una poliziotta in servizio “da 25 anni” è molto condiviso dopo gli attacchi per i fatti di Pisa. “Ho fatto innumerevoli servizi di “ordine e sicurezza pubblica”. Ho preso pietrate sul casco (e poiché senza matricola , non ho potuto chiederne il risarcimento agli autori ), sputi, ingiurie, sediolini da stadio lanciati addosso, pesanti epiteti legati al mio genere , maledizioni fino alla settima generazione”. Alla fine del racconto, che accomuna tutti gli agenti sul campo, conclude: “Molto spesso ho avuto paura di rimanere uccisa. Ma amo il mio lavoro ed ho insegnato ai miei figli, già studenti, l’ordine e la disciplina. Perché il disordine si crea sia con un manganello in mano che con uno zaino in spalla ….”. A Pisa, dopo gli scontri, figli di poliziotti nelle scuole medie sono stati “bullizzati” dai compagni adolescenti con battute e insulti sul “papà che manganella”.
Dal 7 ottobre dello scorso anno, giorno dell’attacco stragista di Hamas, che ha provocato l’invasione israeliana di Gaza, si sono svolte fino al 24 febbraio, 1076 manifestazioni relative al conflitto. In 33 occasioni, il 3% del totale, il Viminale ha registrato “situazioni di criticità sotto il profilo dell’ordine pubblico”. Solo in gennaio e febbraio i feriti fra le forze dell’ordine sono stati 31 e 14 fra i civili.
L’intelligence è in allarme per la chiamata alle armi a livello transnazionale della galassia antagonista in vista del G 7 in Puglia con presidenza italiana. Il 3 marzo, a Toronto, il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e il premier Justin Trudeau non hanno potuto partecipare al ricevimento degli italo canadesi per colpa dei manifestanti che hanno bloccato gli ingressi dell’edificio. A Palazzo Chigi è stato attivato un gruppo di lavoro tra forze dell’ordine e servizi segreti in vista dell’organizzazione del G 7 del 13-15 giugno e altri appuntamenti precedenti in diverse città, che verranno blindate. Il generale Mario Parente, responsabile dell’Aise, l’intelligence interna, ha dichiarato alla Stampa che “ci saranno molte manifestazioni. Il G7 rappresenta una vetrina internazionale. E sappiamo che vi sono alcune tematiche che spesso sono affrontate non solo da chi va spontaneamente in piazza a protestare, ma anche da certi circuiti dell’anarco-insurrezionalismo”.
Sul sito Rivoluzione anarchica, che pubblcia le notizie del mondo antagonista, c’è già “una chiamata nazionale e internazionale per il G 7 in Puglia - giugno 2024”. Per ora si stanno mobilitando gli ecologisti estremi come “Ultima generazione Bari” gli Antifa dell’ “Ex caserma liberata”, ma pure realtà “transfemministe e queer”, che si sono dati appuntamento dal 22 al 24 marzo per pianificare la chiamata alle armi contro il G 7.
Paoloni, segretario del Sap ammette: “Esiste il rischio che degeneri. Non voglio neanche pensare a qualcosa di simile al G 8 di Genova (del 2001 sempre con un governo di centro desta nda), ma gli allarmi sono preoccupanti”.
Fausto Biloslavo
[continua]

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30 aprile 2020 | Tg5 | reportage
L'anticamera dell'inferno
Fausto Biloslavo TRIESTE - “Per noi in prima linea c’è il timore che il ritorno alla vita normale auspicata da tutti possa portare a un aumento di contagi e dei ricoveri di persone in condizioni critiche” ammette Gianfranco, veterano degli infermieri bardato come un marziano per proteggersi dal virus. Dopo anni in pronto soccorso e terapia intensiva lavorava come ricercatore universitario, ma si è offerto volontario per combattere la pandemia. Lunedì si riapre, ma non dimentichiamo che registriamo ancora oltre 250 morti al giorno e quasi duemila nuovi positivi. I guariti aumentano e il contagio diminuisce, però 17.569 pazienti erano ricoverati con sintomi fino al primo maggio e 1578 in rianimazione. Per entrare nel reparto di pneumologia semi intensiva respiratoria dell’ospedale di Cattinara a Trieste bisogna seguire una minuziosa procedura di vestizione. Mascherina di massima protezione, tuta bianca, copri scarpe, doppi guanti e visiera per evitare il contagio. Andrea Valenti, responsabile infermieristico, è la guida nel reparto dove si continua a combattere, giorno e notte, per strappare i contagiati alla morte. Un grande open space con i pazienti più gravi collegati a scafandri o maschere che li aiutano a respirare e un nugolo di tute bianche che si spostano da un letto all’altro per monitorare o somministrare le terapie e dare conforto. Un contagiato con i capelli grigi tagliati a spazzola sembra quasi addormentato sotto il casco da marziano che pompa ossigeno. Davanti alla finestra sigillata un altro paziente che non riesce a parlare gesticola per indicare agli infermieri dove sente una fitta di dolore. Un signore cosciente, ma sfinito, con i tubi dell’ossigeno nel naso è collegato, come gli altri, a un monitor che segnala di continuo i parametri vitali. “Mi ha colpito un paziente che descriveva la sensazione terribile, più brutta del dolore, di non riuscire a respirare. Diceva che “è come se mi venisse incontro la morte”” racconta Marco Confalonieri direttore della struttura complessa di pneumologia e terapia intensiva respiratoria al dodicesimo piano della torre medica di Cattinara. La ventilazione non invasiva lascia cosciente il paziente che a Confalonieri ha raccontato come “bisogna diventare amico con la macchina, mettersi d’accordo con il ventilatore per uscire dal tunnel” e tornare alla vita. Una “resuscitata” è Vasilica, 67 anni, operatrice di origine romena di una casa di risposo di Trieste dove ha contratto il virus. “Ho passato un inferno collegata a questi tubi, sotto il casco, ma la voglia di vivere e di rivedere i miei nipoti, compreso l’ultimo che sta per nascere, ti fa sopportare tutto” spiega la donna occhialuta con una coperta sulle spalle, mascherina e tubo per l’ossigeno. La sopravvissuta ancora ansima quando parla del personale: “Sono angeli. Senza questi infermieri, medici, operatori sanitari sarei morta. Lottano ogni momento al nostro fianco”. Il rumore di fondo del reparto è il ronzio continuo delle macchine per l’ossigeno. L’ambiente è a pressione negativa per aspirare il virus e diminuire il pericolo, ma la ventilazione ai pazienti aumenta la dispersione di particelle infette. In 6 fra infermieri ed un medico sono stati contagiati. “Mi ha colpito la telefonata di Alessandra che piangendo ripeteva “non è colpa mia, non è colpa mia” - racconta Confalonieri con il volto coperto da occhialoni e maschera di protezione - Non aveva nessuna colpa, neppure sapeva come si è contagiata, ma si struggeva per dover lasciare soli i colleghi a fronteggiare il virus”. Nicol Vusio, operatrice sanitaria triestina di 29 anni, ha spiegato a suo figlio che “la mamma è in “guerra” per combattere un nemico invisibile e bisogna vincere”. Da dietro la visiera ammette: “Me l’aspettavo fin dalla prime notizie dalla Cina. Secondo me avremmo dovuto reagire molto prima”. Nicol racconta come bagna le labbra dei pazienti “che con gli occhi ti ringraziano”. I contagiati più gravi non riescono a parlare, ma gli operatori trovano il modo di comunicare. “Uno sguardo, la rotazione del capo, il movimento di una mano ti fa capire se il paziente vuole essere sollevato oppure girato su un fianco o se respira male” spiega Gianfranco, infermiere da 30 anni. Il direttore sottolinea che “il covid “cuoce” tutti gli organi, non solo il polmone e li fa collassare”, ma il reparto applica un protocollo basato sul cortisone che ha salvato una novantina di contagiati. Annamaria è una delle sopravvissute, ancora debole. Finalmente mangia da sola un piattino di pasta in bianco e con un mezzo sorriso annuncia la vittoria: “Il 7 maggio compio 79 anni”.

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06 giugno 2017 | Sky TG 24 | reportage
Terrorismo da Bologna a Londra
Fausto Biloslavo "Vado a fare il terrorista” è l’incredibile affermazione di Youssef Zaghba, il terzo killer jihadista del ponte di Londra, quando era stato fermato il 15 marzo dello scorso anno all’aeroporto Marconi di Bologna. Il ragazzo nato nel 1995 a Fez, in Marocco, ma con il passaporto italiano grazie alla madre Khadija (Valeria) Collina, aveva in tasca un biglietto di sola andata per Istanbul e uno zainetto come bagaglio. Il futuro terrorista voleva raggiungere la Siria per arruolarsi nello Stato islamico. Gli agenti di polizia in servizio allo scalo Marconi lo hanno fermato proprio perché destava sospetti. Nonostante sul cellulare avesse materiale islamico di stampo integralista è stato lasciato andare ed il tribunale del riesame gli ha restituito il telefonino ed il computer sequestrato in casa, prima di un esame approfondito dei contenuti. Le autorità inglesi hanno rivelato ieri il nome del terzo uomo sostenendo che non “era di interesse” né da parte di Scotland Yard, né per l’MI5, il servizio segreto interno. Il procuratore di Bologna, Giuseppe Amato, ha dichiarato a Radio 24, che "venne segnalato a Londra come possibile sospetto”. E sarebbero state informate anche le autorità marocchine, ma una fonte del Giornale, che ha accesso alle banche dati rivela “che non era inserito nella lista dei sospetti foreign fighter, unica per tutta Europa”. Non solo: Il Giornale è a conoscenza che Zaghba, ancora minorenne, era stato fermato nel 2013 da solo, a Bologna per un controllo delle forze dell’ordine senza esiti particolari. Il procuratore capo ha confermato che l’italo marocchino "in un anno e mezzo, è venuto 10 giorni in Italia ed è stato sempre seguito dalla Digos di Bologna. Abbiamo fatto tutto quello che si poteva fare, ma non c'erano gli elementi di prova che lui fosse un terrorista. Era un soggetto sospettato per alcune modalità di comportamento". Presentarsi come aspirante terrorista all’imbarco a Bologna per Istanbul non è poco, soprattutto se, come aveva rivelato la madre alla Digos “mi aveva detto che voleva andare a Roma”. Il 15 marzo dello scorso anno il procuratore aggiunto di Bologna, Valter Giovannini, che allora dirigeva il pool anti terrorismo si è occupato del caso disponendo un fermo per identificazione al fine di accertare l’identità del giovane. La Digos ha contattato la madre, che è venuta a prenderlo allo scalo ammettendo: "Non lo riconosco più, mi spaventa. Traffica tutto il giorno davanti al computer per vedere cose strane” ovvero filmati jihadisti. La procura ha ordinato la perquisizione in casa e sequestrato oltre al cellulare, alcune sim ed il pc. La madre si era convertita all’Islam quando ha sposato Mohammed il padre marocchino del terrorista che risiede a Casablanca. Prima del divorzio hanno vissuto a lungo in Marocco. Poi la donna è tornata casa nella frazione di Fagnano di Castello di Serravalle, in provincia di Bologna. Il figlio jihadista aveva trovato lavoro a Londra, ma nella capitale inglese era entrato in contatto con la cellula di radicali islamici, che faceva riferimento all’imam, oggi in carcere, Anjem Choudary. Il timore è che il giovane italo-marocchino possa essere stato convinto a partire per la Siria da Sajeel Shahid, luogotenente di Choudary, nella lista nera dell’ Fbi e sospettato di aver addestrato in Pakistan i terroristi dell’attacco alla metro di Londra del 2005. "Prima di conoscere quelle persone non si era mai comportato in maniera così strana” aveva detto la madre alla Digos. Il paradosso è che nessuna legge permetteva di trattenere a Bologna il sospetto foreign fighter ed il tribunale del riesame ha accolto l’istanza del suo avvocato di restituirgli il materiale elettronico sequestrato. “Nove su dieci, in questi casi, la richiesta non viene respinte” spiega una fonte del Giornale, che conosce bene la vicenda. Non esiste copia del materiale trovato, che secondo alcune fonti erano veri e propri proclami delle bandiere nere. E non è stato possibile fare un esame più approfondito per individuare i contatti del giovane. Il risultato è che l’italo-marocchino ha potuto partecipare alla mattanza del ponte di Londra. Parenti e vicini cadono dalle nuvole. La zia acquisita della madre, Franca Lambertini, non ha dubbi: “Era un bravo ragazzo, l'ultima volta che l'ho visto mi ha detto “ciao zia”. Non avrei mai pensato a una cosa del genere".

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10 giugno 2008 | Emittente privata TCA | reportage
Gli occhi della guerra.... a Bolzano /2
Negli anni 80 lo portava in giro per Milano sulla sua 500, scrive Panorama. Adesso, da ministro della Difesa, Ignazio La Russa ha voluto visitare a Bolzano la mostra fotografica Gli occhi della guerra, dedicata alla sua memoria. Almerigo Grilz, triestino, ex dirigente missino, fu il primo giornalista italiano ucciso dopo la Seconda guerra mondiale, mentre filmava uno scontro fra ribelli e governativi in Mozambico nell’87. La mostra, organizzata dal 4° Reggimento alpini paracadutisti, espone anche i reportage di altri due giornalisti triestini: Gian Micalessin e Fausto Biloslavo.

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24 maggio 2010 | Radio Padania Libera | intervento
Italia
Proselitismo islamico dietro le sbarre
“Penso che sia giusto se alcuni musulmani combattono la guerra santa contro gli americani in paesi che non sono la loro terra”. Dopo un lungo girarci attorno Kamel Adid sorprende un po’ tutti, quando sputa il rospo. La domanda riguardava i mujaheddin, i musulmani pronti a morire per Allah, contro l’invasore infedele. Tre soldati della guerra santa, arrivati un paio di mesi fa da Guantanamo, sono rinchiusi poco più in là, nel reparto di massima sicurezza del carcere di Opera, alle porte di Milano.
Adid è un giovane marocchino di 31 anni con barbetta islamica d’ordinanza e tunica color noce. Nel carcere modello di Opera fa l’imam dei 44 musulmani detenuti, che frequentano una grande sala adibita a moschea. Un predicatore fai da te, che di solito parla un linguaggio moderato e ti guarda con occhioni apparentemente timidi.
Deve scontare ancora due mesi di pena per un reato legato alla droga e da pochi giorni è stato trasferito in un altro istituto. “Quelli che si fanno saltare in aria subiscono il lavaggio del cervello – si affretta a spiegare l’autonominato imam – Noi abbiamo riscoperto la fede in carcere. Pregare ci da conforto, ci aiuta ad avere speranza”.

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25 maggio 2010 | Spazio Radio - Radio 1 | intervento
Italia
L'Islam nelle carceri italiane
In Italia su oltre 23mila detenuti stranieri, 9840 risultano musulmani, secondo i dati ufficiali. Almeno seimila, però, non si sono dichiarati. Il rapporto di 364 pagine, “La radicalizzazione jihadista nelle istituzioni penitenziarie europee”, realizzato dall’esperto di Islam nella carceri, Sergio Bianchi, ne indica 13mila.
In Italia ci sono circa 80 islamici dietro le sbarre per reati connessi al terrorismo. Dal 2009 li hanno concentrati in quattro istituti di pena: ad Asti, Macomer, Benevento e Rossano. Nel carcere di Opera, invece, sono arrivati Adel Ben Mabrouk, Nasri Riadh e Moez Abdel Qader Fezzani, ex prigionieri di Guantanamo. Chi li controlla ogni giorno racconta che parlano in italiano. La guerra santa in Afghanistan l’hanno abbracciata dopo aver vissuto come extracomunicatori nel nostro paese. Non si possono incontrare fra loro e vivono in celle singole. Pregano regolarmente con molta devozione e hanno mantenuto i barboni islamici.

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15 marzo 2018 | Radio Radicale | intervento
Italia
Missioni militari e interesse nazionale
https://www.radioradicale.it/scheda/535875/missioni-militari-e-interesse-nazionale Convegno "Missioni militari e interesse nazionale", registrato a Roma giovedì 15 marzo 2018 alle 09:23. L'evento è stato organizzato da Center for Near Abroad Strategic Studies. Sono intervenuti: Paolo Quercia (Direttore del CeNASS, Center for Near Abroad Strategic Studies), Massimo Artini (vicepresidente della Commissione Difesa della Camera dei deputati, Misto - Alternativa Libera (gruppo parlamentare Camera)), Fausto Biloslavo (giornalista, inviato di guerra), Francesco Semprini (corrispondente de "La Stampa" da New York), Arije Antinori (dottore di Ricerca in Criminologia ed alla Sicurezza alla Sapienza Università di Roma), Leonardo di marco (generale di Corpo d'Armata dell'Esercito), Fabrizio Cicchitto (presidente della Commissione Affari esteri della Camera, Area Popolare-NCD-Centristi per l'Europa). Tra gli argomenti discussi: Difesa, Esercito, Esteri, Forze Armate, Governo, Guerra, Informazione, Italia, Ministeri, Peace Keeping, Sicurezza. La registrazione video di questo convegno ha una durata di 2 ore e 46 minuti. Questo contenuto è disponibile anche nella sola versione audio

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20 giugno 2017 | WDR | intervento
Italia
Più cittadini italiani con lo ius soli
Estendere la cittadinanza italiana ai bambini figli di stranieri? È la proposta di legge in discussione in Senato in questi giorni. Abbiamo sentito favorevoli e contrari.

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03 giugno 2019 | Radio Scarp | intervento
Italia
Professione Reporter di Guerra


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