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19 giugno 2024 - Interni - Italia - Panorama
I predicatori della porta accanto
Fausto Biloslavo
Venerdì 7 giugno, giorno di preghiera, l’imam radicale, Zulfikar Khan, pronuncia un sermone elogiando i responsabili dell’attacco stragista nei kibbutz israeliani. “Non dobbiamo avere la vergogna di dire che Hamas non è un’organizzazione terrorista. Questa è un’organizzazione dei mujaheddin. Terroristi sono questi vigliacchi, codardi, bastardi che ammazzano i figli (dei palestinesi nda)” riferendosi all’offensiva israeliana a Gaza. Barbone grigio, tunica bianca, sguardo fiammeggiante, il pachistano predica in italiano dallo scranno del Centro islamico Iqraa di Bologna. Poche ore dopo avere postato il video su Facebook, cancella la frase pro Hamas. E la sostituisce domenica con un nuovo video e una dichiarazione più sfumata: “Allah sta aiutando i mujaheddin. Tanti hanno paura di dire che Hamas sono mujaheddin e stanno combattendo per il diritto contro questi terroristi (israeliani nda)”.
Khan è uno dei predicatori islamici in Italia della galassia radicale che l’antiterrorismo ed i servizi segreti monitorizzano in maniera preventiva. “Cattivi maestri, ma la vera bomba innescata è la seconda generazione di giovani musulmani, bacino fertile per la radicalizzazione. Fenomeno che si è accentuato, dopo il 7 ottobre, grazie al collante della lotta palestinese” rivela una fonte dell’antiterrorismo di Panorama. I numeri fanno paura: 500 imam più o meno fai da te risulterebbero “attenzionati”. Le moschee ufficiali sono poche, ma i centri islamici e di preghiera, talvolta ricavati nei posti più astrusi, come i garage sarebbero oltre 1500. Ognuno conta uno o più predicatori. Antiterrorismo e intelligence li hanno mappati tutti. “L’obiettivo è avere un “sensore” in ogni sala di preghiera - spiega la fonte - che può significare un infiltrato, sorveglianza elettronica, ma anche solo l’arma del dialogo con l’imam o esponenti di spicco della moschea più o meno fai da te”.
Quando viene superata la soglia d’allarme si procede all’espulsione come in aprile dell’imam Ahmed Kabir, di Dergano, quartiere popolare di Milano, che guidava la moschea abusiva di via Zambelli. Il ministero dell’Interno lo ha rimandato in Bangladesh “per motivi di ordine e sicurezza pubblica”.  
Khan, l’imam di Bologna, tiene lezioni di pratiche islamiche anche ai bambini. Il 24 febbraio, durante un corteo pro Palestina a Milano, ringrazia il leader del sindacato marxista “Sì Cobas”, Aldo Milani, per l’organizzazione della manifestazione. E poi con microfono e altoparlante montato su un furgoncino ribadisce che la guerra a Gaza è “un genocidio pianificato, progettato da questi assassini (gli israeliani nda), sostenuti dall’America, dal Regno Unito”.  Alla vigilia di Pasqua sentenzia dal pulpito del centro islamico di Bologna riferendosi all’Italia: “Coloro che si schierano con Israele e con l’America faranno una brutta fine”.
Giovanni Giacalone esperto sicurezza per il progetto Itstime/Università Cattolica spiega che “la questione dei predicatori radicali è molto seria in quanto narrativa estremista e terrorismo sono due facce della stessa medaglia”. L’analista della galassia islamica osserva che “in Italia abbiamo casi di internauti estremisti espulsi per avere elogiato l’Isis sui social, ma poi ci sono imam che glorificano Hamas, inneggiano ad assaltare sedi diplomatiche, incitano al jihad e a combattere per Allah, ma sono ancora al loro posto a predicare".
Mohammed Hannoun è un ingegnere-predicatore di Genova, dove tiene i suo sermoni. Presidente dell'Associazione Palestinesi in Italia è in prima linea nelle manifestazioni di appoggio a Gaza. “Chiediamo a tutti gli arabi (…) di cacciare tutte le ambasciate israeliane, chiuderle e trasformarle in centri di resistenza” è l’appello di Hannoun al corteo filo palestinese di Milano alla vigilia di Pasqua. E rincara la dose con “un applauso per la resistenza dello Yemen, un applauso per la resistenza del Libano, dell’Iraq…”. Il riferimento è  agli Houti che minacciano il traffico mercantile nel Mar Rosso, gli Hezbollah nella terra dei cedri, che hanno ingaggiato uno scontro quotidiano con Israele e le milizie filo iraniane a Baghdad.
Hannoun è noto per le posizioni filo Hamas. Alcune foto lo ritraggono con i pezzi grossi del movimento islamista, Ismail Hanyeh e Khaled Mashaal. Dopo la strage del 7 ottobre dichiara che “l’attacco di Hamas è legittima difesa”. E su Facebook posta slogan che non lasciano dubbi: “Dal fiume (Giordano nda) al mare la Palestina sarà libera”.
La fonte dell’antiterrorismo di Panorama conferma che “Hannoun è la figura di riferimento di Hamas in Italia. Fa parte della rete creata in Europa con l’obiettivo principale di raccogliere fondi”. Gli israeliani, ben prima del 7 ottobre, avevano chiesto all’Italia di sequestrare i conti di Hannoun sospettato di finanziare la frangia estremista palestinese con mezzo milione di euro. La magistratura ha indagato, ma l’inchiesta è finita nel nulla a causa della mancata collaborazione dell’Autorità nazionale palestinese.  
Un’altra spina nel fianco sono i predicatori Tabligh, itineranti, come Khan, che fanno proseliti soprattutto nella comunità pachistana e bengalese opponendosi a qualsiasi integrazione in nome della sharia. “L’attività di predicatori Tabligh è stata segnalata presso centri islamici sparsi in tutto il territorio nazionale e il Movimento risulta suddiviso in cinque consigli regionali: Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Lazio-Umbra-Campania-Isole” scrive Giacalone in un dossier su “integrazione ed estremismo in Europa” per il Centro Macchiavelli.
Quasi la metà dei luoghi di culto non riconosciuti si trovano fra il Nord ed il centro Italia. A Roma sono in aumento le moschee abusive salite a 53 con alcune sotto i riflettori come il seminterrato della Al Huda a Centocelle. Hamid Saidawi, l’imam responsabile della sala di preghiera è un membro di spicco del movimento Tablighi Jamaat in Italia convinto che “l’Occidente abbia fallito” e “vada curato con le regole islamiche”.
I cortei e le occupazioni delle università dei pro palestinesi sono terreno di “conquista” per elementi come Brahim Baya, portavoce  della Moschea Taiba di Torino e segretario  dell’associazione Partecipazione e spiritualità musulmana. Il 17 maggio scatena una bufera con il suo sermone in una delle sedi occupate dell’Università di Torino per “intifada studentesca”. Baya arringa un gruppetto di giovani universitari spiegando che  “in Palestina” si combatte “un jihad compiuto da donne, uomini, bambini”. E “ognuno con quello che può contribuisce a questa lotta di liberazione che è cominciata dal primo momento in cui i sionisti hanno calpestato quella terra Benedetta”. Secondo fonti di intelligence l’influencer islamico "fa parte di Giustizia e carità, un gruppo marocchino anti monarchico, che in Italia ha un reticolo importante. E’ una costola dei Fratelli musulmani”.
L’antiterrorismo lancia un chiaro allarme sulle seconde generazioni islamiche “italiane”: “Abbiamo assistito a un risveglio netto di predicatori e figli di imam fin dalle proteste No pass ai tempi del Covid”. Adesso il potente collante è la causa palestinese. “Gaza attrae come una calamita gli adolescenti, che prima spaccavano le vetrine del lusso a Torino e adesso attaccano la Brigata ebraica a Milano” spiega la fonte di Panorama. I più pericolosi sono i giovani egiziani, che si sentono “cittadini di serie B”. L’ingaggio in rete con tematiche antioccidentali, anti americane e anti sioniste, che trovano terreno comune con l’estremismo di destra, inizia a 14 anni. Su Tik Tok fanno i bulli inneggiando al Jihad, la guerra santa. A Roma propaganda e radicalizzazione virtuale è in mano a Maya, blogger e influencer islamica, che scende anche in piazza. A Milano nei cortei opera un’altra donna, Palestine, figlia di un collettore di fondi del cerchio di Hannoun. Uno dei gruppi più organizzati e decisi è quello dei Giovani palestinesi d’Italia. E stanno spuntando anche i veterani in esilio delle vecchie formazioni estremiste come il Fronte popolare di liberazione della Palestina. “I predicatori sono cattivi maestri, che dicono alla seconda generazione “siete il futuro e dovete raccogliere il testimone” - rivela la fonte dell’antiterrorismo - Gli adolescenti musulmani, in attesa della cittadinanza italiana, sono investiti dai messaggi di radicalizzazione e rappresentano un bacino potenzialmente enorme”. BOX INTERVISTA La battagliera Anna Maria Cisint ha ottenuto quasi 43mila preferenze, che le garantiscono un seggio leghista al Parlamento europeo. Si dimetterà da sindaco di Monfalcone, ma rimarrà nella giunta come assessore. Su 30.500 residenti, gli stranieri sono il 31% “dei quali il 24,5% è composto da musulmani”. La prima nazionalità proviene dal Bangladesh. Il braccio di ferro sulla moschea non riconosciuta l’ha resa famosa, ma c’è dell’altro.
Perchè ha puntato il dito sui benefici dell’assistenza sociale?
“L’Isee (indicatore della situazione economica nda) dei musulmani è solitamente molto basso perchè le donne islamiche quasi sempre non lavorano. Se hanno più figli godono di tutti i benefici possibili e sono sempre in cima alla lista per le assegnazioni delle case popolari, rispetto agli italiani. Per ottenere l’alloggio basta un’autocertificazione che non sono proprietari di immobili anche in patria. Nel 2023 i bengalesi hanno inviato, come rimesse a casa loro, 24 milioni di euro. E ci risulta che in Bangladesh siano riusciti a comprare non solo appartamenti, ma condomini”.
Aggirano la legge?
“Il presidente regionale, Massimiliano Fedriga, aveva varato una norma che li obbligava a presentare una seria documentazione per dimostrare l’assenza di proprietà in patria. Come per incanto le richieste di alloggi popolari è crollata dell’80%. Poi la legge è stata bocciata perchè sarebbe discriminatoria secondo i giudici. Il risultato è che le richieste degli extracomunitari sono risalite al 75%”.
Nello sfruttamento del welfare ci sono di mezzo anche i matrimoni islamici?
“Pachistani e bengalesi si sposano nel loro paese secondo la sharia (legge del Corano nda). Il contratto di matrimonio prevede l’ “acquisto” della moglie dal padre e sancisce la poligamia. Quando arrivano in Italia, non solo a Monfalcone, registrano il matrimonio musulmano all’anagrafe. Anche questo li concede il diritto di usufruire del nostro welfare. In molti casi paghiamo gli assegni familiari mandandoli nel loro paese di origine”.
f.bil.
[continua]

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23 aprile 2012 | Premio Lago | reportage
Il premio Giorgio Lago: Arte, impresa, giornalismo, volontariato del Nord Est
Motivazione della Giuria: Giornalista di razza. Sempre sulla notizia, esposto in prima persona nei vari teatri di guerra del mondo. Penna sottile, attenta, con un grande amore per la verità raccontata a narrare le diverse vicende dell’uomo.

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29 dicembre 2010 | | reportage
Gli occhi della guerra a Trieste
Dopo aver portato la mostra su 25 anni di reportage di guerra in tutta Italia, finalmente il 29 dicembre è stata inaugurata a Trieste, presso la sala espositiva della Parrocchia di Santa Maria Maggiore, via del Collegio 6. Gli occhi della guerra sono dedicati ad Almerigo Grilz e a tutti i giornalisti caduti sul fronte dell'informazione. La mostra rimarrà aperta al pubblico dal 10 al 20 gennaio. L'evento è stato organizzato dal Circolo universitario Hobbit con la sponsorizzazione della Regione.

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30 aprile 2020 | Tg5 | reportage
L'anticamera dell'inferno
Fausto Biloslavo TRIESTE - “Per noi in prima linea c’è il timore che il ritorno alla vita normale auspicata da tutti possa portare a un aumento di contagi e dei ricoveri di persone in condizioni critiche” ammette Gianfranco, veterano degli infermieri bardato come un marziano per proteggersi dal virus. Dopo anni in pronto soccorso e terapia intensiva lavorava come ricercatore universitario, ma si è offerto volontario per combattere la pandemia. Lunedì si riapre, ma non dimentichiamo che registriamo ancora oltre 250 morti al giorno e quasi duemila nuovi positivi. I guariti aumentano e il contagio diminuisce, però 17.569 pazienti erano ricoverati con sintomi fino al primo maggio e 1578 in rianimazione. Per entrare nel reparto di pneumologia semi intensiva respiratoria dell’ospedale di Cattinara a Trieste bisogna seguire una minuziosa procedura di vestizione. Mascherina di massima protezione, tuta bianca, copri scarpe, doppi guanti e visiera per evitare il contagio. Andrea Valenti, responsabile infermieristico, è la guida nel reparto dove si continua a combattere, giorno e notte, per strappare i contagiati alla morte. Un grande open space con i pazienti più gravi collegati a scafandri o maschere che li aiutano a respirare e un nugolo di tute bianche che si spostano da un letto all’altro per monitorare o somministrare le terapie e dare conforto. Un contagiato con i capelli grigi tagliati a spazzola sembra quasi addormentato sotto il casco da marziano che pompa ossigeno. Davanti alla finestra sigillata un altro paziente che non riesce a parlare gesticola per indicare agli infermieri dove sente una fitta di dolore. Un signore cosciente, ma sfinito, con i tubi dell’ossigeno nel naso è collegato, come gli altri, a un monitor che segnala di continuo i parametri vitali. “Mi ha colpito un paziente che descriveva la sensazione terribile, più brutta del dolore, di non riuscire a respirare. Diceva che “è come se mi venisse incontro la morte”” racconta Marco Confalonieri direttore della struttura complessa di pneumologia e terapia intensiva respiratoria al dodicesimo piano della torre medica di Cattinara. La ventilazione non invasiva lascia cosciente il paziente che a Confalonieri ha raccontato come “bisogna diventare amico con la macchina, mettersi d’accordo con il ventilatore per uscire dal tunnel” e tornare alla vita. Una “resuscitata” è Vasilica, 67 anni, operatrice di origine romena di una casa di risposo di Trieste dove ha contratto il virus. “Ho passato un inferno collegata a questi tubi, sotto il casco, ma la voglia di vivere e di rivedere i miei nipoti, compreso l’ultimo che sta per nascere, ti fa sopportare tutto” spiega la donna occhialuta con una coperta sulle spalle, mascherina e tubo per l’ossigeno. La sopravvissuta ancora ansima quando parla del personale: “Sono angeli. Senza questi infermieri, medici, operatori sanitari sarei morta. Lottano ogni momento al nostro fianco”. Il rumore di fondo del reparto è il ronzio continuo delle macchine per l’ossigeno. L’ambiente è a pressione negativa per aspirare il virus e diminuire il pericolo, ma la ventilazione ai pazienti aumenta la dispersione di particelle infette. In 6 fra infermieri ed un medico sono stati contagiati. “Mi ha colpito la telefonata di Alessandra che piangendo ripeteva “non è colpa mia, non è colpa mia” - racconta Confalonieri con il volto coperto da occhialoni e maschera di protezione - Non aveva nessuna colpa, neppure sapeva come si è contagiata, ma si struggeva per dover lasciare soli i colleghi a fronteggiare il virus”. Nicol Vusio, operatrice sanitaria triestina di 29 anni, ha spiegato a suo figlio che “la mamma è in “guerra” per combattere un nemico invisibile e bisogna vincere”. Da dietro la visiera ammette: “Me l’aspettavo fin dalla prime notizie dalla Cina. Secondo me avremmo dovuto reagire molto prima”. Nicol racconta come bagna le labbra dei pazienti “che con gli occhi ti ringraziano”. I contagiati più gravi non riescono a parlare, ma gli operatori trovano il modo di comunicare. “Uno sguardo, la rotazione del capo, il movimento di una mano ti fa capire se il paziente vuole essere sollevato oppure girato su un fianco o se respira male” spiega Gianfranco, infermiere da 30 anni. Il direttore sottolinea che “il covid “cuoce” tutti gli organi, non solo il polmone e li fa collassare”, ma il reparto applica un protocollo basato sul cortisone che ha salvato una novantina di contagiati. Annamaria è una delle sopravvissute, ancora debole. Finalmente mangia da sola un piattino di pasta in bianco e con un mezzo sorriso annuncia la vittoria: “Il 7 maggio compio 79 anni”.

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radio

06 settembre 2018 | Radio immaginaria | intervento
Italia
Teen Parade
Gli adolescenti mi intervistano sulla passione per i reportage di guerra

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24 maggio 2010 | Radio Padania Libera | intervento
Italia
Proselitismo islamico dietro le sbarre
“Penso che sia giusto se alcuni musulmani combattono la guerra santa contro gli americani in paesi che non sono la loro terra”. Dopo un lungo girarci attorno Kamel Adid sorprende un po’ tutti, quando sputa il rospo. La domanda riguardava i mujaheddin, i musulmani pronti a morire per Allah, contro l’invasore infedele. Tre soldati della guerra santa, arrivati un paio di mesi fa da Guantanamo, sono rinchiusi poco più in là, nel reparto di massima sicurezza del carcere di Opera, alle porte di Milano.
Adid è un giovane marocchino di 31 anni con barbetta islamica d’ordinanza e tunica color noce. Nel carcere modello di Opera fa l’imam dei 44 musulmani detenuti, che frequentano una grande sala adibita a moschea. Un predicatore fai da te, che di solito parla un linguaggio moderato e ti guarda con occhioni apparentemente timidi.
Deve scontare ancora due mesi di pena per un reato legato alla droga e da pochi giorni è stato trasferito in un altro istituto. “Quelli che si fanno saltare in aria subiscono il lavaggio del cervello – si affretta a spiegare l’autonominato imam – Noi abbiamo riscoperto la fede in carcere. Pregare ci da conforto, ci aiuta ad avere speranza”.

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25 maggio 2010 | Spazio Radio - Radio 1 | intervento
Italia
L'Islam nelle carceri italiane
In Italia su oltre 23mila detenuti stranieri, 9840 risultano musulmani, secondo i dati ufficiali. Almeno seimila, però, non si sono dichiarati. Il rapporto di 364 pagine, “La radicalizzazione jihadista nelle istituzioni penitenziarie europee”, realizzato dall’esperto di Islam nella carceri, Sergio Bianchi, ne indica 13mila.
In Italia ci sono circa 80 islamici dietro le sbarre per reati connessi al terrorismo. Dal 2009 li hanno concentrati in quattro istituti di pena: ad Asti, Macomer, Benevento e Rossano. Nel carcere di Opera, invece, sono arrivati Adel Ben Mabrouk, Nasri Riadh e Moez Abdel Qader Fezzani, ex prigionieri di Guantanamo. Chi li controlla ogni giorno racconta che parlano in italiano. La guerra santa in Afghanistan l’hanno abbracciata dopo aver vissuto come extracomunicatori nel nostro paese. Non si possono incontrare fra loro e vivono in celle singole. Pregano regolarmente con molta devozione e hanno mantenuto i barboni islamici.

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20 giugno 2017 | WDR | intervento
Italia
Più cittadini italiani con lo ius soli
Estendere la cittadinanza italiana ai bambini figli di stranieri? È la proposta di legge in discussione in Senato in questi giorni. Abbiamo sentito favorevoli e contrari.

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03 giugno 2019 | Radio Scarp | intervento
Italia
Professione Reporter di Guerra


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