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18 ottobre 2008 - Esclusivo - Somalia - Io Donna
Somalia l'esodo dimenticato
Salima, 19 anni, è nata in guerra, a Mogadiscio, ma non voleva andarsene. Fino a quando ha perso figlio e marito nello spazio di una mattina, mentre usciva in cerca del pane. Tornata a casa ha trovato il tetto sfondato da una granata e la sua famiglia maciullata. In dolce attesa la giovane somala ha scelto la fuga impossibile verso un mondo migliore. A bordo di un barcone diretto nello Yemen ha partorito il suo bambino. I trafficanti di uomini che la traghettavano, assieme ad un centinaio di clandestini, l’hanno buttato in mare appena nato.
Faduma, 22 anni, recitava i versi del Corano come un rosario per salvare uno dei suoi figli. Medici non ce n’erano nell’inferno di un campo profughi dentro la Somalia. Il piccolo è morto di diarrea. Faduma si è rassegnata a questo ed altro. Non conta più gli stupri, dopo che una donna di 70 anni è stata violentata.
I talebani somali stanno rialzando la testa e bombardano i civili con i mortai pur di provare a colpire il palazzo presidenziale a Mogadiscio. Le truppe etiopiche che appoggiano il fragile governo transitorio non sono da meno durante le rappresaglie. Gli Al Shabab, i giovani miliziani della guerra santa, si divertono a demolire quello che resta della cattedrale di Chisimaio, una delle ultime chiese della Somalia che un tempo fu italiana. E che ospitava da anni famiglie di senza tetto a causa della guerra. Al grido “Allah o akbar” (Dio è grande), armati di picconi, martelli e asce hanno festeggiato così la fine del Ramadan, il mese di digiuno islamico. “Al posto della chiesa costruiremo una grande moschea” ha annunciato sheik Hassan Yaqub, portavoce dei fondamentalisti. Spiegando poi che a Chisimaio, capoluogo del sud conquistato in settembre, torna l’ordine talebano. “Durante gli orari di preghiera i nostri mujaheddin arresteranno chi si rifiuta di chiudere uffici e negozi – spiega Yaqub – Chi non prega è un criminale”.
Non è un film dell’orrore, ma la triste realtà quotidiana nel dimenticato paese del Corno d’Africa. Secondo Human right watch, un’organizzazione non governativa che si batte per il rispetto dei diritti umani, “la tragedia della Somalia e la più ignorata del mondo d’oggi”.
Poco meno della metà della popolazione, 3,5 milioni di anime, ha bisogno di aiuti umanitari per sopravvivere. Un quarto dei bambini muore prima di arrivare ai 5 anni. Su 100mila nascite, 1100 madri non superano il parto. Un milione e 100mila profughi vagano all’interno della Somalia per sfuggire ai combattimenti e alla miseria. E’ il terribile risultato di 17 anni di guerra civile iniziata con il crollo del regime di Siad Barre, il padre-padrone della Somalia. Dal 1991 caos, anarchia, carestie hanno stritolato i somali e la loro terra.
Mogadiscio è una capitale fantasma abbandonata da metà dei suoi abitanti. Il mercato di Bakara, però, rimane sempre lo stesso: un covo di miliziani islamici pronti a tutto. Come nel 1993 quando gli americani provarono ed entrarci e finirono scannati da una folla inferocita. Una disfatta che ispirò il film “Black Hawk down”.
Quartieri dove splendevano i palazzi dell’epoca coloniale sono scheletri di guerra disabitati. Colpi di mortaio, cannonate e raffiche di mitragliatrice hanno trasformato le case in groviera. “Mogadiscio sta morendo – denuncia Human right watch - La capitale, sulla costa dell'Oceano indiano, era un tempo uno dei centri più attivi del commercio con il Medio Oriente. Ora intere aree sono ridotte a cumuli di macerie”.
Dalla città morta fuggono in tanti, come Salima. La sua è una storia terribile scoperta da Alixandra Fazzina, la fotografa che ha scattato le immagini di questo servizio.
Lo scorso anno Salima perde tutto, compresa la famiglia, nei combattimenti di Mogadiscio. Si affida ai famigerati tharib, i trafficanti di uomini. Alla stregua di moderni Caronte traghettano chi vuole scappare da guerra e fame oltre il golfo di Aden. Nel 2008 sono sbarcati nello Yemen 25.859 disperati giunti dalla Somalia o dall’Etiopia. Per attirare i disperati che sognano un mondo migliore le bande si sono inventate Radio Kabila. Un’emittente con ripetitori disseminati in tutto il paese che trasmette le indicazioni sulle vie di fuga dalla Somalia. Molti clandestini non ce la fanno. I corpi restituiti dal mare sono più di 200, secondo i dati dell’agenzia dell’Onu per i rifugiati. Altri 225 risultano dispersi.
I disperati raggiungono Bosaso, centro di tutti i traffici nel nord est del paese. Dalle spiagge vicine di Morere o Shimbelle bande di canaglie riempiono barconi di pescatori con carichi di 120 esseri umani alla volta, uno appiccicato all’altro. Ubriachi di gin, offuscati dalla droga e armati di kalaschnikov i trafficanti di uomini sono delle bestie. Spesso legano i clandestini l’uno all’altro, come ai tempi della tratta degli schiavi. Mare agitato e sole a picco accompagnano i due giorni d’inferno della traversata. “Un uomo che chiedeva per pietà un po’ d’acqua si è preso una coltellata in testa – racconta Salima – Poi hanno gettato il corpo sanguinante fuori bordo”.
Il peggio deve ancora venire. La giovane Salima è al settimo mese di gravidanza ed il rollio della barca fra i flutti le provoca le contrazioni. Perde sangue, ma partorisce il bambino. I compagni di sventura tagliano il cordone ombelicale. L’unica cosa che ricorda è una delle canaglie che lancia in mare il neonato come se fosse un pallone.
Ogni clandestino paga un milione di scellini somali, poco meno di 37 euro, per oltrepassare il golfo di Aden. Una volta giunti in vista della costa yemenita i trafficanti di uomini buttano il carico a mare. Chi ce la fa nuota per raggiungere la riva. Gli altri affogano e vengono ritrovati cadaveri giorni dopo sulla spiaggia.
Nell’inferno della Somalia i trafficanti di uomini non sono gli unici a farsi i soldi. I pirati imperversano, armati fino ai denti, sui loro barchini velocissimi. Vanno all’arrembaggio del traffico mercantile sequestrando velieri di imprudenti turisti, ma soprattutto navi. In settembre hanno fatto il colpo grosso dirottando nel porto di Harardhere un mercantile ucraino zeppo di carri armati nella stiva. Quest’anno sono stati registrati oltre 40 casi di pirateria al largo della Somalia. I riscatti delle navi variano da 1 a 6 milioni di euro. Si stima che il giro d’affari dei pirati nel 2007 sia stato di 50 milioni di euro. Nella baia di Eyl, la Tortuga somala a nord di Mogadiscio, i pirati girano in costosi fuoristrada. Per gli equipaggi sequestrati sono stati organizzati pensioni e ristoranti ad hoc. Adesso, però, c’è paura per possibili ritorsioni delle navi da guerra della comunità internazionale al largo della Somalia. “La popolazione vede di buon occhio i pirati – spiega una fonte del governo somalo – Considera gli arrembaggi una reazione ai tanti pescherecci occidentali che pescano di frode nelle nostre acque o alle navi che scaricano rifiuti tossici”.


radio

01 settembre 2010 | Radio radicale | intervento
Somalia
La Somalia dopo vent'anni di anarchia
I talebani somali, il fragile governo transitorio ed il ruolo della comunità internazionale.

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20 maggio 2013 | Radio Capodistria | intervento
Somalia
Il tesoro de pirati
Tutto quello che non è mai stato detto sul "Tesoro dei pirati" ovvero i 400 milioni di dollari pagati per liberare le navi sequestrate. A Radio Capodistria dopo il convegno sulla pirateria somala organizzato dall'Autorità portuale al Punto Franco vecchio di Trieste.

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