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Articolo
10 febbraio 2020 - Prima - Italia - Il Giornale
“Io ho vissuto quell’orrore e ancora oggi ho gli incubi”
di Fausto Biloslavo
«A chi, al nostro rientro forzato in Italia, ci ha accolto con insulti, con offese, con brutalità. A chi per oltre mezzo secolo ha negato le migliaia di morti, le violenze, le foibe. A chi, ancora oggi, nega. Io non ho mai dimenticato chi sono, da dove vengo, le mie origini. Mi chiamo Nino, Nino Benvenuti», scrive l\\\\\\\'esule campione nell\\\\\\\'introduzione al fumetto autobiografico pubblicato da Ferrogallico in occasione del giorno del Ricordo. Il Giornale ha raggiunto Benvenuti al telefono e subito scatta lo slang, il dialetto triestino con il pugile, che del capoluogo giuliano ha fatto la sua seconda casa. La prima era Isola d\\\\\\\'Istria, dove è nato nel 1938. Alla fine della Seconda guerra mondiale i partigiani di Tito prelevano il fratello più grande, Eliano, sospettato di essere un nemico del popolo anche se non aveva neppure l\\\\\\\'età per avere fatto qualcosa di male. Un conto è vivere in guerra, sapendo di esserlo. Altro è, a guerra finita, continuare a naufragare nel terrore, nella paura. Quella gente (i titini, nda) aveva la consapevolezza, la certezza di essere nella totale immunità», racconta Nino con l\\\\\\\'aiuto della sua storica addetta stampa, Anita Madaluni. Eliano ha appena 16 anni e zoppica per la poliomielite, ma lo sbattono lo stesso dietro le sbarre per sette mesi. E sul libro illustrato Nino Benvenuti - il mio esodo dall\\\\\\\'Istria scritto con Mauro Grimaldi, il disegnatore, Giuseppe Botte, tratteggia il futuro campione di pugilato in bicicletta, che porta ogni giorno al fratello un pasto caldo nel carcere di Capodistria.
L\\\\\\\'ondata di violenze dei partigiani di Tito a guerra finita si sta diffondendo nella penisola istriana. Per Benvenuti le foibe, che hanno provocato l\\\\\\\'esodo, rappresentano «un vero e proprio incubo che, ancora oggi, alcune notti, torna ad angosciarmi. Le foibe sono una storia di violenze e crimini gratuiti. Orrore puro». Il ragazzo che conquisterà il titolo di campione del mondo dei pesi medi ricorda la paura a guerra finita: «Si viveva nell\\\\\\\'angoscia di essere sequestrati o uccisi da un momento all\\\\\\\'altro, per italianismo (così lo definivano con disprezzo!). Se Hitler fu il male assoluto, Ozna (la polizia segreta di Tito, nda) e foibe non sono stati certo da meno». Neppure gli animali da compagnia delle famiglie italiane vengono risparmiate per stupido divertimento. Benvenuti ancora oggi non dimentica Bianca, una bastardina, compagna di giochi, che una mattina esce come sempre a correre verso la spiaggia. Il fumetto descrive bene la scena che Nino ha ricordato nelle sue memorie: «A distanza di una ventina di metri una guardia con la stella rossa sul berretto punta il fucile su Bianca e spara senza motivo. Poi si mette a ridere mentre la cagnolina sta morendo sulla spiaggia». Nella nuova Jugoslavia comunista fondata da Tito, il papà parte per primo, ma la nonna rimane con il giovane nipote. Nino comincia a scambiare i primi pugni con i ragazzini slavi che lo accusano di essere «uno sporco italiano». In cantina improvvisa una mini palestra, mentre gli esuli si imbarcano sulla motonave Toscana abbandonando tutto. Luciano Zorzenon, un palombaro assoldato per il recupero dei relitti della guerra, nota il giovane Nino e lo porta all\\\\\\\'accademia pugilistica di Trieste. Nel libro illustrato sulla sua storia istriana un allenatore lo definisce «un po\\\\\\\' magro, braccia lunghe, sembra un ragno», ma Nino si impegna come se volesse dimostrare a tutti che gli italiani combattono, anche se solo sul ring. L\\\\\\\'esordio del futuro campione è nel 1951, in piazza ad Isola, dove dimostra la stoffa che lo porterà a sfidare i più grandi pugili del mondo.
La doccia fredda arriva nel 1954, quando Trieste torna all\\\\\\\'Italia, dopo l\\\\\\\'occupazione alleata e le autorità jugoslave nazionalizzano i beni di molti italiani rimasti in Istria compresa la casa di Benvenuti. Nino è costretto all\\\\\\\'esodo definitivo a Trieste. «Fu bruttissimo per tanti istriani non venire accettati e sentirsi degli esuli in patria» racconta il campione. Poi arrivano i primi incontri importanti e nel 1960 la medaglia d\\\\\\\'oro olimpica. «Per me lasciare Isola, il mio scoio sul mare è un dolore che porto dentro da sempre - spiega la leggenda del pugilato - Non ho mai voluto strumentalizzare queste tragiche vicende o definirmi esule prima degli incontri come una medaglia. Ma sono sempre stato orgoglioso di essere un italiano d\\\\\\\'Istria».
Quando sale sul ring contro Emile Griffith e Carlos Monzòn per il titolo mondiale lega sempre agli stivaletti la fede della mamma Dora. «Mi ha sempre insegnato a non provare rancore, né odio, neppure per i carnefici» di Tito che hanno costretto almeno 250mila italiani ad imboccare la via dell\\\\\\\'esodo.
I beni abbandonati della famiglia Benvenuti sono state risarciti «poche centinaia di euro, una beffa, una somma ridicola. Meglio non pensarci». E la tragedia delle foibe è stata celata per decenni. «Da parte degli esuli - me compreso - per paura. Da parte della storia... bah, che dire, è un buco nero». Per questo ha aderito all\\\\\\\'idea del libro illustrato sulla sua storia istriana con «il sogno che venga diffuso nelle scuole di ogni ordine e grado, nelle palestre, nei centri di aggregazione giovanili». Ignazio La Russa, vicepresidente dell\\\\\\\'assemblea di Palazzo Madama, vuole «proporre al presidente della Repubblica la nomina di Nino Benvenuti a senatore a vita».
L\\\\\\\'esule campione sa che prima o dopo tornerà a casa, per sempre: «Quando non ci sarò più voglio che le mie ceneri vengano sparse nel mare dal mio scoglio, lì, a Isola, dove giocavo da bambino».
(ha collaborato Manuel Fondato)
[continua]

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16 marzo 2012 | Terra! | reportage
Feriti d'Italia
Fausto Biloslavo racconta le storie di alcuni soldati italiani feriti nel corso delle guerre in Afghanistan e Iraq. Realizzato per il programma "Terra" (Canale 5).

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11 novembre 2008 | Centenario della Federazione della stampa | reportage
A Trieste una targa per Almerigo Grilz
e tutti i caduti sul fronte dell'informazione

Ci sono voluti 21 anni, epiche battaglie a colpi di articoli, proteste, un libro fotografico ed una mostra, ma alla fine anche la "casta" dei giornalisti triestini ricorda Almerigo Grilz. L'11 novembre, nella sala del Consiglio comunale del capoluogo giuliano, ha preso la parola il presidente dell'Ordine dei giornalisti del Friuli-Venezia Giulia, Pietro Villotta. Con un appassionato discorso ha spiegato la scelta di affiggere all'ingresso del palazzo della stampa a Trieste una grande targa in cristallo con i nomi di tutti i giornalisti italiani caduti in guerra, per mano della mafia o del terrorismo dal 1945 a oggi. In rigoroso ordine alfabetico c'era anche quello di Almerigo Grilz, che per anni è stato volutamente dimenticato dai giornalisti triestini, che ricordavano solo i colleghi del capoluogo giuliano uccisi a Mostar e a Mogadiscio. La targa è stata scoperta in occasione della celebrazione del centenario della Federazione nazionale della stampa italiana. Il sindacato unico ha aderito all'iniziativa senza dimostrare grande entusiasmo e non menzionando mai, negli interventi ufficiali, il nome di Grilz, ma va bene lo stesso. Vale la pena dire: "Meglio tardi che mai". E da adesso speriamo veramente di aver voltato pagina sul "buco nero" che ha avvolto per anni Almerigo Grilz, l'inviato ignoto.

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06 giugno 2017 | Sky TG 24 | reportage
Terrorismo da Bologna a Londra
Fausto Biloslavo "Vado a fare il terrorista” è l’incredibile affermazione di Youssef Zaghba, il terzo killer jihadista del ponte di Londra, quando era stato fermato il 15 marzo dello scorso anno all’aeroporto Marconi di Bologna. Il ragazzo nato nel 1995 a Fez, in Marocco, ma con il passaporto italiano grazie alla madre Khadija (Valeria) Collina, aveva in tasca un biglietto di sola andata per Istanbul e uno zainetto come bagaglio. Il futuro terrorista voleva raggiungere la Siria per arruolarsi nello Stato islamico. Gli agenti di polizia in servizio allo scalo Marconi lo hanno fermato proprio perché destava sospetti. Nonostante sul cellulare avesse materiale islamico di stampo integralista è stato lasciato andare ed il tribunale del riesame gli ha restituito il telefonino ed il computer sequestrato in casa, prima di un esame approfondito dei contenuti. Le autorità inglesi hanno rivelato ieri il nome del terzo uomo sostenendo che non “era di interesse” né da parte di Scotland Yard, né per l’MI5, il servizio segreto interno. Il procuratore di Bologna, Giuseppe Amato, ha dichiarato a Radio 24, che "venne segnalato a Londra come possibile sospetto”. E sarebbero state informate anche le autorità marocchine, ma una fonte del Giornale, che ha accesso alle banche dati rivela “che non era inserito nella lista dei sospetti foreign fighter, unica per tutta Europa”. Non solo: Il Giornale è a conoscenza che Zaghba, ancora minorenne, era stato fermato nel 2013 da solo, a Bologna per un controllo delle forze dell’ordine senza esiti particolari. Il procuratore capo ha confermato che l’italo marocchino "in un anno e mezzo, è venuto 10 giorni in Italia ed è stato sempre seguito dalla Digos di Bologna. Abbiamo fatto tutto quello che si poteva fare, ma non c'erano gli elementi di prova che lui fosse un terrorista. Era un soggetto sospettato per alcune modalità di comportamento". Presentarsi come aspirante terrorista all’imbarco a Bologna per Istanbul non è poco, soprattutto se, come aveva rivelato la madre alla Digos “mi aveva detto che voleva andare a Roma”. Il 15 marzo dello scorso anno il procuratore aggiunto di Bologna, Valter Giovannini, che allora dirigeva il pool anti terrorismo si è occupato del caso disponendo un fermo per identificazione al fine di accertare l’identità del giovane. La Digos ha contattato la madre, che è venuta a prenderlo allo scalo ammettendo: "Non lo riconosco più, mi spaventa. Traffica tutto il giorno davanti al computer per vedere cose strane” ovvero filmati jihadisti. La procura ha ordinato la perquisizione in casa e sequestrato oltre al cellulare, alcune sim ed il pc. La madre si era convertita all’Islam quando ha sposato Mohammed il padre marocchino del terrorista che risiede a Casablanca. Prima del divorzio hanno vissuto a lungo in Marocco. Poi la donna è tornata casa nella frazione di Fagnano di Castello di Serravalle, in provincia di Bologna. Il figlio jihadista aveva trovato lavoro a Londra, ma nella capitale inglese era entrato in contatto con la cellula di radicali islamici, che faceva riferimento all’imam, oggi in carcere, Anjem Choudary. Il timore è che il giovane italo-marocchino possa essere stato convinto a partire per la Siria da Sajeel Shahid, luogotenente di Choudary, nella lista nera dell’ Fbi e sospettato di aver addestrato in Pakistan i terroristi dell’attacco alla metro di Londra del 2005. "Prima di conoscere quelle persone non si era mai comportato in maniera così strana” aveva detto la madre alla Digos. Il paradosso è che nessuna legge permetteva di trattenere a Bologna il sospetto foreign fighter ed il tribunale del riesame ha accolto l’istanza del suo avvocato di restituirgli il materiale elettronico sequestrato. “Nove su dieci, in questi casi, la richiesta non viene respinte” spiega una fonte del Giornale, che conosce bene la vicenda. Non esiste copia del materiale trovato, che secondo alcune fonti erano veri e propri proclami delle bandiere nere. E non è stato possibile fare un esame più approfondito per individuare i contatti del giovane. Il risultato è che l’italo-marocchino ha potuto partecipare alla mattanza del ponte di Londra. Parenti e vicini cadono dalle nuvole. La zia acquisita della madre, Franca Lambertini, non ha dubbi: “Era un bravo ragazzo, l'ultima volta che l'ho visto mi ha detto “ciao zia”. Non avrei mai pensato a una cosa del genere".

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27 gennaio 2020 | Radio 1 Italia sotto inchiesta | intervento
Italia
Esercito e siti ebraici
Fausto Biloslavo I nostri soldati rispettano la giornata della Memoria dell’Olocausto non solo il 27 gennaio, ma tutto l’anno. L’esercito, con l’operazione Strade sicure, schiera 24 ore al giorno ben 700 uomini in difesa di 58 siti ebraici sul territorio nazionale. Tutti obiettivi sensibili per possibile attentati oppure oltraggi anti semiti. “Per ora non è mai accaduto nulla anche grazie alla presenza dei militari, che serve da deterrenza e non solo. Il senso di sicurezza ha evitato episodi di odio e minacce ripetute come in Francia, che rischiano di provocare un esodo della comunità ebraica” spiega una fonte militare de il Giornale. I soldati, che si sono fatti le ossa all’estero, sorvegliano, quasi sempre con presidi fissi, 32 sinagoghe o tempi ebraici, 9 scuole, 4 musei e altri 13 siti distribuiti in tutta Italia, ma soprattutto al nord e al centro. La città con il più alto numero di obiettivi sensibili, il 41%, è Milano. Non a caso il comandante del raggruppamento di Strade sicure, come in altre città, è ufficialmente invitato alle celebrazioni del 27 gennaio, giorno della Memoria. Lo scorso anno, in occasione dell’anniversario della nascita dello Stato di Israele, il rappresentante della comunità ebraica di Livorno, Vittorio Mosseri, ha consegnato una targa al comandante dei paracadustisti. “Alla brigata Folgore con stima e gratitudine per il servizio di sicurezza prestato nell’ambito dell’operazione Strade sicure contribuendo con attenzione e professionalità al sereno svolgimento delle attività della nostro comunità” il testo inciso sulla targa. In questi tempi di spauracchi anti semiti l’esercito difende i siti ebraici in Italia con un numero di uomini praticamente equivalente a quello dispiegato in Afghanistan nel fortino di Herat. Grazie ad un’esperienza acquisita all’estero nella protezione delle minoranze religiose, come l’antico monastero serbo ortodosso di Decani in Kosovo. “In ogni città dove è presente la comunità ebraica esiste un responsabile della sicurezza, un professionista che collabora con le forze dell’ordine ed i militari per coordinare al meglio la vigilanza” spiega la fonte del Giornale. Una specie di “assessore” alla sicurezza, che organizza anche il sistema di sorveglianza elettronica con telecamere e sistemi anti intrusione di avanguardia su ogni sito. Non solo: se in zona appare un simbolo o una scritta anti semita, soprattuto in arabo, viene subito segnalata, fotografata, analizzata e tradotta. “I livelli di allerta talvolta si innalzano in base alla situazione internazionale” osserva la fonte militare. L’ultimo allarme ha riguardato i venti di guerra fra Iran e Stati Uniti in seguito all’eliminazione del generale Qassem Soleimani. Roma è la seconda città per siti ebraici presidiati dai militari compresi asili, scuole e oratori. Le sinagoghe sono sorvegliate pure a Napoli, Verona, Trieste e quando necessario vengono disposte le barriere di cemento per evitare attacchi con mezzi minati o utilizzati come arieti. A Venezia i soldati garantiscono la sicurezza dello storico ghetto. A Livorno e in altre città sono controllati anche i cimiteri ebraici. Una residenza per anziani legata alla comunità è pure nella lista dei siti protetti a Milano. Ed i militari di Strade sicure nel capoluogo lombardo non perdono d’occhio il memoriale della Shoah, lo sterminio degli ebrei voluto da Hitler.

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