LIBRO E MOSTRA Gli occhi della guerra
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Gli occhi della guerra incrociati in tanti reportage in prima linea. Per questo gli occhi della guerra diventano il titolo di un libro fotografico. Un libro per raccontare, con immagini e sguardi fugaci, 25 anni di servizi dai fronti più caldi del mondo.
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REPORTAGE Sotto le bombe in Libano con Hezbollah
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NABATIEH - La strada a doppia corsia per Nabatieh, nel Sud del Libano, è deserta. Più ci avviciniamo alla città, roccaforte di Hezbollah, aumenta il presagio di morte e distruzione. Già in periferia il fumo grigio scaturito dai bombardamenti israeliani si alza da un edificio colpito al lato della strada. Ci passiamo in mezzo con un brivido che corre lungo la schiena. Sembra che non ci sia anima viva. |
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I libri degli altri
Lingua per unire, lingua per dividere
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autore: Vari
editore: Futuribili - Franco Angeli
anno: 2009
pagine: 252
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AFGHANISTAN: LE LINGUE CHE DIVIDONO
Nei tanti e turbolenti viaggi in Afghanistan, dai tempi dell’invasione sovietica ad oggi, ho imparato qualche parola locale che mi è servita per sopravvivere. Pensando a tutti i vocaboli e a qualche frase compiuta che riesco a pronunciare ammetto che conosco solo una parola in Pashto, auba che significa acqua. Il resto del mio vocabolario è composto dal Farsi, o il Dari, come viene chiamato oggi.
La nuova costituzione afghana considera sia il Dari che il Pashto come lingue ufficiali ponendole sullo stesso piano. L’inno nazionale, però, è cantato in Pashto e anche gli ordini militari sono nello stesso idioma. Il Dari è sempre stata la lingua colta, degli intellettuali, ma pure dei commercianti. Emblema della minoranza tajika che si aggira attorno al 25% della popolazione. Il Pashto invece appartiene alla maggioranza pasthun fra il 38 ed il 44% della popolazione. La lingua dei “guerrieri” che hanno quasi sempre dominato l’Afghanistan.
Niente di male se non fosse per il fatto che questa divisione etnica e linguistica ha sempre segnato il destino del paese al crocevia dell’Asia, spesso tragico e sanguinoso come negli ultimi trent’anni. Questo contributo sulla “lingua afghana che divide” l’ho voluto scrivere assieme a Bahram Rahman, la mia giovane “spalla” a Kabul di tanti servizi giornalistici. Per un occidentale è sempre difficile entrare nei meandri della mentalità afghana ed il tema della lingua rimane uno dei più sensibili, anche se poco conosciuto.
I tajiki, che parlano il Dari sono considerati “gli antichi abitanti del paese”, scalzati dal potere pashtoon. Islamizzati dalle invasioni a cominciare dall'VIII secolo hanno contato rinomati artigiani, poeti e commercianti. Ahmad Shah, il primo re pashtoon della dinastia Durani, conosceva molto meglio il Farsi, la lingua di palazzo dove era cresciuto. Fino al 1880, come dimostrano i motti coniati sulle monete, la lingua ufficiale del regno afghano continuava ad essere il Farsi. Solo con Abdur Rahman Khan, soprannominato l’emiro di ferro per i suoi metodi, la lingua ufficiale cominciò ad essere vista come l’idioma dei tajiki, rivali dei pashtoon. Il figlio dell’emiro di ferro, Habibullah, accarezzò addirittura il piano di espellere dal paese gli afghani che parlavano solo il Farsi. In questo periodo l’idioma cambiò nome e diventò Dari, perché il Farsi era parlato nel regno di Persia, l’attuale Iran. In realtà l’alfabeto, la grammatica e la pronuncia del Farsi e del Dari sono praticamente gli stessi. I migliori poemi afghani sono stati scritti in Farsi.
La “situazione linguistica” migliorò con l’indipendenza dalla Gran Bretagna e l’ascesa al trono di Amanullah Khan. Nel 1929 la rivolta del tajiko Bacha ye Saqqao, il "portatore d'acqua", un visionario conservatore e fondamentalista di umili origini scombussolò le carte. Il nuovo “re” tajiko riportò il Farsi come lingua ufficiale, ma fu ben presto sconfitto dalla restaurazione pashtoon, che considerava un affronto un tajiko al potere. Il "portatore d'acqua" venne giustiziato a Kabul con il vecchio sistema che gli inglesi riservavano agli ammutinati: legato alla bocca di un cannone che facendo fuoco lo smembrò in mille pezzi.
Nadir Shah, che ordinò la brutale esecuzione, era il padre dell’ultimo re afghano, Zahir Shah, recentemente scomparso. La “restaurazione” segnò un tentativo di “colonizzazione” pashtoon, anche nel nord dell’Afghanistan nella zona di Kunduz. Le donne tajike erano obbligate a sposare uomini pashtoon ed i figli venivano considerati pashtoon. Il Farsi tornò Dari e cominciò ad essere messa da parte come lingua. Nadir Shah si impegnò soprattutto nel rinominare le istituzioni e gli enti più importanti in Pashto. Per esempio l’università, che fino a quel momento si chiamava Danish Ghah (in Farsi Danish significa conoscenza e Ghah luogo della) diventò Pohanton, dall’unione delle due parole Pashto che hanno lo stesso significato.
Nel 1933 il re fu assassinato, ma Zahir Shah era troppo giovane per controllare effettivamente il potere. Al suo posto hanno governato per anni gli zii, che accentuarono la pashtonizzazione linguistica cambiando anche i nomi dei luoghi. Comprese zone di Herat, al confine con l’Iran di oggi, notoriamente dominate dal Farsi. I documenti scritti in Farsi non venivano accettati dagli uffici governativi ed in alcuni casi fu incarcerato chi utilizzava questa lingua per richieste ufficiali.
La Costituzione per molti versi innovativa del 1964, voluta da Zahir Shah finalmente nel pieno dei suoi poteri, scava invece un solco sempre più profondo fra chi parla Pashto e chi si esprime in Dari. Alla Loya Jirga , ovvero l’assemblea tradizionale afghana, riunita per discutere della Costituzione, saltarono fuori le posizioni più estremiste. Molto simili a quelle che verranno applicate dai talebani trent’anni dopo. Pur non riuscendo mai a passare venne proposta l’abolizione per legge del Farsi e l’espulsione dal paese di chi parla solo questa lingua.
Il golpe repubblicano che rovesciò la monarchia e l’invasione sovietica del 1979 sprofondarono l’Afghanistan nella buia crisi di cui ci stiamo occupando ancora oggi.
Anche il partito comunista (PDPA – Partito Democratico del Popolo Afghano), che per oltre un decennio rappresentò il potere a Kabul, era diviso in due fazioni, in feroce lotta fra loro lungo linee etniche e linguistiche. Da una parte il Khalq (popolo) dominato da pashtoon e dall’altra il Parcham (bandiera) in mano ai tajiki, che parlavano Dari ed altre etnie afghane. L’aspetto interessante è che sul fronte opposto dei mujaheddin, i partigiani islamici che combattevano armi in pugno contro i sovietici, si riflettevano le stesse spaccature. Uno dei partiti amati più forti era lo Jamiat e Islami di Bhuranuddin Rabbani composto in gran parte da tajiki, come il famoso comandante Ahmad Shah Massoud e da mujahed che parlavano Farsi. Allo Jamiat si opponeva l’Hezb e Islami di Gulbuddin Hekmatyar, il più noto signore della guerra pasthoon, che ancora oggi crea problemi a fianco dei talebani.
Non è un caso che alla caduta di Kabul nel 1992, dopo la scomparsa dell’Urss, il regime comunista si spaccò lungo una linea etnico-linguistica. Quelli del Parcham si unirono al comandante Massoud, che entrò nella capitale ed i seguaci del Khalq passarono con Hekmatyar, bloccato alle porte di Kabul.
I mujaheddin avevano vinto, ma persero subito la scommessa della pace scatenando una terribile guerra civile. La lunga battaglia di Kabul costò migliaia di vittime fra i civili. La gente veniva impiccata o tagliata a pezzi perchè parlava Farsi o Pashto nella zona sbagliata. La società stessa era così divisa che i tajiki consideravano una vergogna rivolgersi con il consueto sallam aleikum (la pace sia con te) ad un pashto. E viceversa era disonorevole per un pashto sposare un donna che parlava Farsi.
Questa ondata di odio e violenze favorì, per certi versi, l’ascesa dei talebani che conquistarono i due terzi del paese riportando l’ordine. Purtroppo era l’ordine della più retriva interpretazione della Sharià, la legge coranica e della dominazione pashtoon. Per i talebani, nocciolo duro della maggioranza pashtoon, chi parlava Farsi era un infedele e quasi uno straniero che avrebbe fatto bene ad andarsene in Iran o nell’ex repubblica sovietica del Tajikistan dove usano la stessa lingua.
Durante un mio rocambolesco reportage in Afghanistan ai tempi dei talebani stavo attento ad usare con parsimonia il Dari. Talvolta quando il capo della polizia religiosa a Jalalabad o il governatore talebano di Kandahar cominciavano a guardarmi storto per il mio Farsi passavo subito a qualche frase del Corano, in arabo, che li accontentava.
Dopo il crollo dei talebani il presidente afghano Hamid Karzai si è battuto per far promulgare una Costituzione moderna, che possa servire a lasciarsi alle spalle il passato. Per questo motivo “Pashto e Dari sono le lingue ufficiali dello Stato" secondo l’articolo 16 della carta fondamentale. Un significativo riconoscimento è concesso anche agli altri popoli dell’Afghanistan. "Le lingue Uzbeko, Turkmeno, Baluci, Pashai, Nuristani e Pamiri sono la terza lingua ufficiale – in aggiunta al Pastho e al Dari – nelle aree in cui sono parlate dalla maggioranza della popolazione. Le modalità di applicazione della disposizione, di cui al presente comma, sono regolate dalla legge" spiega l’articolo 16. L’aggiunta è stata fortemente voluta dal leader uzbeko, l'ex generale Rashid Dostum, che non sopportava la concessone ai tajiki con il Dari parificato al Pashto. Molti sostengono che l’ulteriore riconoscimento linguistico regionale potrebbe portare in futuro ad un processo di cantonizzazione dell’Afghanistan di tipo federale. Un sistema “svizzero” che difficilmente sarà accettato dalla maggioranza pashtoon.
L’inno nazionale si canta in Pashto, ma la stessa Costituzione prevede nel capitolo primo dell’articolo 20, che contenga la menzione degli altri gruppi etnici afghani e dell'immancabile “Allah u Akbar (Allah è grande).
Nonostante i buoni propositi ed i compromessi che si riflettono nella nuova Costituzione afghana, la situazione sul terreno presenta numerose ombre dal punto di vista linguistico. Nelle scuole le classi vengono divise fra studenti di madrelingua Dari e quelli che usano il Pashto. I vari stadi di avanzamento scolastico sono divisi non solo in anni, ma pure fra Farsi e Pashto. Una delle principali televisioni private dell’Afghanistan, Tolo tv, è costantemente criticata perché i programmi vanno in onda in Farsi. Il segnale arriva solo in alcune grandi città a cominciare da Kabul, dove tutti conoscono anche il Farsi. Si è però arrivati al punto di accusare l’emittente privata di propagandare, attraverso la lingua, posizioni non islamiche.
Non siamo ai tempi dell’emiro di ferro o dei talebani, ma l’Afghanistan ha ancora una lunga strada da percorrere per capire che due lingue, con la loro secolare storia e tradizione, anziché dividere possono unire.
Fausto Biloslavo www.faustobiloslavo.com
Bahram Rahman
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