LIBRO E MOSTRA Gli occhi
della guerra
Gli occhi della guerra incrociati in tanti reportage in prima linea. Per questo gli occhi della guerra diventano il titolo di un libro fotografico. Un libro per raccontare, con immagini e sguardi fugaci, 25 anni di servizi dai fronti più caldi del mondo.
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REPORTAGE
Nel Mar Rosso
per difendere
i mercantili
MAR ROSSO - Il rendezvous è fissato alle 2 Zulu in una notte di mezza luna nel Mar Rosso. Il cacciatorpediniere, Caio Duilio, naviga a tutta velocità verso nord. L’obiettivo è garantire la protezione ravvicinata a un convoglio di tre navi mercantili lungo la “zona rossa”, ad alto rischio, per la minaccia di droni e missili che gli Houti lanciano dallo Yemen. Fino ad oggi i miliziani filo iraniani, in guerra con Israele per l’invasione di Gaza, hanno attaccato 73 mercantili.
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13 ottobre 2010 | Porta a porta | reportage
Le tigri serbe non fanno prigionieri
“Kosovo je Srbija” (il Kosovo è serbo) gridano gli hooligan di Belgrado durante le partite di calcio. Per loro la ferita della provincia albanese indipendente rimarrà sempre aperta. Giovani, spesso minorenni, studenti o disoccupati, passano facilmente dalle curve degli stadi alle manifestazioni di piazza. Ed il tifo si trasforma in cieca violenza. Sfasciano i Mac Donald, simbolo americano e se la prendono con il governo di Belgrado che vuole entrare in Europa. Nel 2008, dopo la dichiarazione di indipendenza del Kosovo, attaccano l’ambasciata Usa a Belgrado. Dal balcone al primo piano fanno sventolare la bandiera nera con il teschio e le tibie incrociate. Un simbolo che si rifà ai cetnici, i partigiani anti nazisti e anticomunisti, durante la seconda guerra mondiale. Lo stesso simbolo sulla maglietta indossata dal capo degli ultrà serbi calati a Genova. I più famosi sono i Delje, i “coraggiosi” della Stella Rossa di Belgrado, assieme ai Grobari, i “becchini” del Partizan. Acerrimi rivali negli stadi, durante le manifestazioni di piazza si alleano per sfasciare tutto. La Stella rossa è il club calcistico con il più alto numero di dirigenti collusi con la mafia balcanica. La leggenda nera degli ultrà serbi è Zeliko Raznatovic. Il famigerato Arkan, l’immortale, ucciso nel 2000 a Belgrado a raffiche di mitra. Durante la guerra etnica che distrugge la Jugoslavia arruola i tifosi più violenti. Le Tigri, che non fanno prigionieri, come spiega lo stesso Arkan: “Li ammazziamo subito, con un colpo di pistola alla testa,”. Dopo la sua morte la tifoseria continua a venir pilotata. I manager di alcune squadre sono vicini agli oppositori ultranazionalisti di Tomislav Nikolic. Il successore di Vojislav Seselj, dietro le sbarre a L’Aja, con l’accusa di crimini di guerra. Fra gli ultrà non mancano gli estremisti di destra del gruppo Onore, che difende i criminali di guerra serbi, come l’ultimo super latitante, Ratko Mladic. Gli stessi che domenica scorsa si scatenano a Belgrado contro il Gay pride. Non è un caso che gli ultrà attaccano a colpi di slogan soprattutto il presidente serbo Boris Tadic. Europeista convinto, ha voltato pagina con le tragedie della pulizia etnica ed è grande amico del nostro paese. Dallo scorso anno Italia e Serbia sono alleati strategici nei Balcani e Roma spinge per l’ingresso di Belgrado nell’Unione europea. I nostalgici del passato fomentano i giovani tifosi per impedirlo.
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10 ottobre 2010 | Domenica Cinque | programma
In guerra si muore: 4 penne nere cadute in battaglia
Furiosa battaglia in Af­ghanistan: i talebani tendo­no un'imboscata ad un con­voglio italiano nella famige­rata valle del Gulistan. L'obiettivo è spingere i blin­dati verso una o più trappole esplosive piazzate dagli in­sorti. Un «Lince» salta in aria uccidendo sul colpo quattro penne nere e ferendo un quinto alpino. I soccorsi rie­s­cono a mettere in salvo l'uni­co sopravvissuto, sotto il fuo­co degli insorti. La trappola esplosiva ha ucciso Gianmar­co Manca, Francesco Van­nozzi, Sebastiano Ville e Mar­co Pedone, tutti del 7˚ reggi­mento alpini della brigata Ju­lia, di stanza a Belluno.
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05 ottobre 2010 | La vita in diretta - Raiuno | collegamento
Islam, matrimoni forzati e padri assassini
Nosheen, la ragazza pachi­stana, in coma dopo le spranga­te del fratello, non voleva spo­sarsi con un cugino in Pakistan. Il matrimonio forzato era stato imposto dal padre, che ha ucci­so a colpi di mattone la madre della giovane di 20 anni schiera­ta a fianco della figlia. Se Noshe­e­n avesse chinato la testa il mari­to, scelto nella cerchia familia­re, avrebbe ottenuto il via libera per emigrare legalmente in Ita­lia. La piaga dei matrimoni com­binati nasconde anche questo. E altro: tranelli per rimandare nella patria d’origine le adole­scenti dove le nozze sono già pronte a loro insaputa; e il busi­ness della dote con spose che vengono quantificate in oro o migliaia di euro. Non capita solo nelle comuni­tà musulmane come quelle pa­chistana, marocchina o egizia­na, ma pure per gli indiani e i rom, che sono un mondo a par­te.
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13 giugno 2010 | Memoria audiovisivi | reportage
Professione Difesa
I giornalisti aggregati alle unità combattenti nei teatri più difficili, come l'Afghanistan. Un video sul giornalismo embedded realizzato da Antonello Tiracchia. E il racconto della mia storia: l'avventura dell'Albatross, la morte in prima linea di Almerigo ed i reportage di guerra.
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07 giugno 2010 | Porta a Porta | programma
Un servizio sulle guerre di pace degli italiani
Le “guerre” di pace degli italiani sono iniziate nel 1982, con la prima importante missione all’estero nel martoriato Libano, dopo il conflitto fra israeliani e palestinesi. Oggi sono quasi diecimila i soldati italiani impegnati nel mondo in venti paesi. Oltre alla baionette svolgiamo un apprezzato intervento umanitario a favore della popolazione. Dall’Africa, ai Balcani, al Medio Oriente, fino all’Afghanistan non sempre è una passeggiata per portare solo caramelle ai bambini. Nel 1991, durante la guerra del Golfo, un caccia bombardiere italiano è stato abbattuto dalla contraerea irachena. Il pilota Gianmarco Bellini ed il navigatore Maurizio Cocciolone sono rimasti per 45 giorni nelle cupe galere di Saddam Hussein. Quella in Somalia, è stata una missione sporca e dura, macchiata da casi isolati di torture e maltrattamenti. Al check point Pasta, a Mogadiscio, i paracadutisti della Folgore hanno combattuto la prima dura battaglia in terra d’Africa dopo la seconda guerra mondiale. Alla fine del conflitto etnico siamo intervenuti a pacificare la Bosnia. Per il Kosovo, nel 1999, l’aeronautica militare ha bombardato i serbi effettuando 3mila sortite. Una guerra aerea di cui non si poteva parlare per opportunità politiche. Dopo l’11 settembre i focolai di instabilità sono diventati sempre più insidiosi, dall’Iraq all’Afghanistan. Nel 2003, con la missione Antica Babilonia a Nassiryah, i nostri soldati sono rimasti coinvolti nelle battaglie dei ponti contro i miliziani sciiti. In sole 24 ore gli italiani hanno sparato centomila colpi. Siamo sbarcati di nuovo in Libano dopo il conflitto fra Israele ed Hezbollah, ma la nostra vera trincea è l’Afghanistan. Con i rinforzi previsti per l’estate arriveremo a 4mila uomini per garantire sicurezza nella parte occidentale del paese, grande come il Nord Italia, al confine con l’Iran. Herat, Bala Murghab, Farah, Bala Baluk, Bakwa, Shindad sono i nomi esotici e lontani dove fanti, alpini, paracadutisti combattono e muoiono in aspri scontri e imboscate con i talebani o attentati. Dal 1982, nelle nostre “guerre” di pace, sono caduti 103 soldati italiani.
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